Donazioni alla Croce rossa cambogiana: i legami sospetti con i centri per le truffe online
L'ente di beneficenza, da tempo legato con il governo di Phnom Penh, ha ricevuto milioni di dollari da imprenditori legati ai centri per le truffe online nel sud-est asiatico. Si tratta di persone in alcuni casi sanzionate dai governi occidentali. Nel frattempo continuano su pressione della Cina le operazioni del Myanmar e della Thailandia per contrastare il fenomeno e liberare le vittime della tratta.
Phnom Penh (AsiaNews) - La Croce rossa della Cambogia ha ricevuto più di 7 milioni di dollari da aziende e enti legati ai centri per le truffe online che proliferano nel sud-est asiatico, secondo un’inchiesta di Radio Free Asia (RFA) che da tempo denuncia i legami tra l’ente di beneficenza e il governo cambogiano. Basta guardare alla pagina Facebook della Croce rossa della Cambogia per vedere diversi post di ringraziamento nei confronti di individui facoltosi che hanno fatto donazioni, in alcuni casi periodiche.
Si tratta, però, in alcuni casi, come nel caso dell’imprenditore e senatore Ly Yong Phat, di persone sanzionate dai governi occidentali per legami conclamati con il traffico di esseri umani. Ma tra i donatori frequenti figura, tra gli altri, anche Chen Zhi, presidente di Prince Group, che tra il 2021 e il 2024 ha donato più di 2 milioni di dollari. Nonostante le smentite del portavoce del gruppo, alcune inchieste avevano documentato torture e abusi nei complessi gestiti da Chen. RFA ha individuato anche altri “benefattori”: Try Pheap, un magnate sanzionato dagli Stati Uniti che ogni anno a partire dal 2021 ha donato 300mila dollari; Li Tao, un uomo d'affari cinese, anch’egli sotto sanzione da Washington per violazioni dei diritti umani, che in quattro anni ha donato 1,9 milioni di dollari; e Chen Al Len, il direttore del K.B. Hotel, un noto sito di traffico di esseri umani sotto sanzione da parte del Regno Unito, che ha dal 2021 ha fatto donazioni di importi diversi, da 10mila a 100mila dollari.
Secondo Jacob Sims, esperto dei meccanismi che regolano la tratta di esseri umani nel sud-est asiatico, divulgare le donazioni da parte di questi uomini d’affari dona all’opinione pubblica un’immagine positiva di presunti criminali e allo stesso tempo strizza l’occhiolino al governo repressivo guidato da Hun Manet, figlio del dittatore Hun Sen. “È fin troppo chiaro che la Croce rossa cambogiana è solo uno dei tanti meccanismi di clientelismo utilizzati dall’élite all’interno di un sistema profondamente corrotto”, ha commentato Sims a RFA. Il comitato cambogiano della Croce rossa è oggi presieduto dalla moglie di Hun Sen, Bun Rany, ma il legame tra la famiglia al potere si consolidò negli anni ‘90, quando alcuni magnati (chiamati “oknha” in Cambogia) cominciarono a fare donazioni al comitato nazionale per ottenere protezione e favori da parte del governo.
Dall’inchiesta di RFA emerge come il sistema della tratta di esseri umani legata ai centri per le truffe online sia un sistema istituzionalizzato che gode della protezione di alcuni regimi antidemocratici. La vastità della rete di traffici illeciti nel sud-est asiatico è emersa a partire dal 2020: secondo le stime delle Nazioni unite, solo in Cambogia ci sarebbero circa 100mila persone ridotte in condizione di moderna schiavitù, e 120mila in Myanmar. Si tratta di persone che vengono adescate con finte proposte di lavoro e poi costrette a lavorare come truffatori o truffatrici online nei confronti di cittadini di Paesi occidentali. Negli ultimi anni, le vittime che sono riuscite a scappare hanno raccontato di aver subito abusi di ogni tipo. Ai lavoratori-schiavi viene per prima cosa ritirato il passaporto; poi vengono trattenuti in compound e residence, i più noti in Cambogia sono quelli della città costiera di Sihanoukville, spesso con il beneplacito delle forze dell’ordine e la protezione cinese, che ha finanziato la costruzione della città e di diverse infrastrutture.
La stessa situazione si è ricreata negli ultimi tempi in Myanmar dopo il colpo di Stato che a febbraio 2021 ha provocato la caduta del governo guidato da Aung San Suu Kyi, dando avvio a una cruente guerra civile che continua ancora oggi. L’esercito golpista birmano, sostenuto militarmente dalla Cina, ma sempre più in difficoltà sul campo contro le milizie etniche che compongono la resistenza, ha perso il controllo dei traffici illeciti che proliferano lungo la frontiera con la Cina e la Thailandia. Pechino, con l’aiuto di Bangkok, sta da mesi cercando di mettere un freno alla situazione: ieri il portavoce della Karen Border Guard Force - una milizia a lungo alleata con l’esercito birmano, e che da tempo gestisce e protegge i traffici illeciti che hanno luogo nel distretto birmano di Myawaddy, altro polo che ospita i centri per le truffe online -, ha annunciato di essere in grado di trasferire in Thailandia almeno 10mila vittime di tratta di esseri umani. La settimana precedente era stata la Democratic Karen Buddhist Army (gruppo nato da una scissione con la Karen Border Guard Force) ad annunciare l’espulsione dei propri territori dei cittadini cinesi coinvolti nelle truffe online. Le attività illecite della Karen Border Guard Force hanno finanziato la costruzione di una città come Shwe Kokko, realizzata dalla Yatai, la società di She Zhijiang, imprenditore cinese che nel 2017 ha ottenuto la cittadinanza cambogiana e nel 2022 è stato arrestato in Thailandia. Ora attende di essere estradato in Cina per rispondere alle accuse di aver gestito operazioni di gioco d’azzardo illegali.
Solo di recente le società thailandesi che hanno stipulato contratti di fornitura dell’energia con diversi imprenditori come She Zhijiang, su pressione della Cina, hanno tagliato la corrente alle società birmane che ospitano anche i centri per le truffe online. Decine di migliaia di cittadini cinesi sono stati liberati nell’ultimo anno. Ma le operazioni di liberazione più recenti hanno svelato che le vittime di tratta provengono da decine di Paesi diversi. La settimana scorsa il Myanmar ha trasferito in Thailandia 260 persone di almeno 20 nazionalità diverse, ma 138 provenivano dall’Etiopia. Il capo della Democratic Karen Buddhist Army, il maggiore Saw San Aung, aveva dichiarato di non sapere “come siano arrivate qui” le persone vittime di tratta. “Stiamo continuando la ricerca di lavoratori forzati e li rimanderemo indietro”, ha aggiunto.
12/03/2024 14:19
05/05/2021 10:13