Dissiente birmano: poche speranze dal vertice Stati Uniti – Myanmar
di Tint Swe
Tint Swe, membro del governo in esilio, nega che la recente visita di due diplomatici Usa nel Paese possa portare dei cambiamenti. La Costituzione non verrà modificata, Aung San Suu Kyi resterà esclusa dalla competizione elettorale e la dittatura militare penserà solo a rinsaldare il potere. Verso il regime hmanca una politica internazionale comune.
New Delhi (AsiaNews) – Nei gioni scorsi Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione birmana, ha incontrato Kurt Campbell, vice-segretario di Stato Usa con delega all’Asia dell’est e al Pacifico, e il suo vice Scot Marciel, ambasciatore Usa all’Asean. Per la prima volta la Nobel per la pace ha potuto lasciare la casa dove è detenuta ai domiciliari e i giornalisti hanno ricevuto l’autorizzazione dalla dittatura militare a scattarle alcune foto.
Sulla visita dei diplomatici statunitensi – che hanno incontrato anche il premier birmano Thein Sein, ma non il generalissimo Than Swe – pubblichiamo una riflessione di Tint Swe, membro del consiglio dei ministri del National Coalition Government of the Union of Burma (NCGUB) costituito da rifugiati del Myanmar dopo le elezioni del 1990 vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia e mai riconosciute dalla giunta militare. Fuggito in India nel 1990, dal 21 dicembre del 1991 vive a New Delhi. Da allora fa parte del NCGUB dove ricopre l’incarico di responsabile dell’informazione per l’Asia del Sud e Timor Est.
Le aspettative restano sempre aspettative. In questi giorni tutti parlano di Aung San Suu Kyi e delle relazioni fra Stati Uniti e Myanmar con speranze più o meno elevate. Qualcuno è indotto all’ottimismo, pensando che l’America compirà un miracolo in Myanmar.
Ma costoro dovrebbero ricordare i giorni in cui Aung San Suu Kyi era trattata come una personalità, potendo persino verificare i progetti di sviluppo e veniva mostrata a più riprese sulle televisioni e i giornali di Stato. Perché, da quel momento, sono trascorsi più di 10 anni e non è successo nulla di positivo; si è trattato solo di propaganda di regime, montata ad arte per il palcoscenico internazionale. Non dimenticate che il generalissimo [Than Shwe] è addestrato ed è un profondo conoscitore della guerra psicologica.
I diplomatici americani che hanno incontrato per due ore Aung San Suu Kyi mostrano maggiore realismo, perché non hanno troppe aspettative. I diplomatici Usa hanno ragione quando affermano che le elezioni politiche del 2010 devono essere credibili e inclusive. Essi hanno ribadito che gli Stati Uniti vogliono progressi concreti, non di facciata. Si dice che le elezioni siano un’opportunità. La stessa opportunità che Ban Ki-moon – durante il suo viaggio in Myanmar nel maggio 2008 – ha detto non essere utilizzata dalla giunta. Per i militari “opportunità” significa i passi da compiere per restare al potere.
Esercitare pressioni o promuovere una politica di impegno, quale sia la strada giusta per affrontare la giunta, è un dibattito ormai di lungo corso e ampiamente sviscerato. Ognuno dei due fronti difende e promuove le proprie idee. Finora il nuovo approccio voluto dagli Stati Uniti appare razionale. Agli occhi del popolo birmano, i Paesi che promuovono un dialogo lo fanno solo per un tornaconto personale, senza alcun desiderio sincero di un cambiamento democratico in Myanmar. La sola politica delle sanzioni, unita a pressioni interne ed esterne, ha portato a un cambiamento di regime in Sud Africa, Filippine e Nepal. L’uso delle sanzioni come mezzo coercitivo è certamente saggio.
Il vice-segretario di Stato Usa con delega all’Asia dell’est e al Pacifico Kurt Campbell e Scot Marciel, ambasciatore Usa all’Asean (Associazione che riunisce i Paesi del Sud-est Asiatico) hanno sottolineato che l’amministrazione Obama non intende rimuovere le sanzioni. Di conseguenza il generalissimo Than Shwe, leader della dittatura militare, non li ha voluti incontrare.
Le elezioni sono l’elemento base di una democrazia e la promessa di effettuarle potrebbe interessare molte nazioni. “Le elezioni potrebbero anche non essere libere e giuste – ha commentato un diplomatico con base a Yangon – ma sono comunque necessarie”. La Lega nazionale per la democrazia (Nld) non contesta la tornata elettorale in sé. E quanti esprimono critiche verso il voto, sono visti di malo modo. Tuttavia molti fingono di ignorare l’esito delle elezioni del 1990 e quanto hanno sofferto i partiti e i rappresentanti eletti in modo giusto e libero. I partiti onesti sono stati dissolti. Tutti i rappresentanti eletti che hanno provato a ribellarsi, sono stati incarcerati, arrestati, uccisi o costretti a fuggire dal Paese.
Ora molte nazioni, fra le quali gli stessi Stati Uniti, parlano delle elezioni del 2010 come credibili e comprensive di tutti gli schieramenti in campo. Al riguardo, va ricordato che la candidatura di Aung San Suu Kyi per le elezioni del 1990 era stata bocciata. Il regime sa bene che pur avendola mantenuta agli arresti domiciliari, la Lega nazionale per la democrazia ha ottenuto una vittoria schiacciante. Questa volta non permetteranno che il fatto si ripeta. Per questo Aung San Suu Kyi non potrà partecipare alle elezioni e le operazioni di voto non saranno svolte in modo libero e giusto.
Il popolo birmano non si cura delle aspettative di molte nazioni straniere, che desiderano arrivare a una transizione graduale dei poteri da un regime militare ad un governo civile. Sperare nella nascita di schegge o fazioni all’interno della leadership militare è quanto di meno probabile possa succedere.
È altrettanto probabile che, seguendo l’esempio degli Stati Uniti, l’Unione europea aprirà anch’essa un canale di dialogo con la giunta. Ma la strada è molto lunga prima che venga appianata la diversa visione in merito alle sanzioni tra Stati Uniti, l’Unione europea, il Canada e l’Australia, incluso l’accesso agli istituti finanziari internazionali come la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e la Banca asiatica per lo sviluppo.
In ogni modo, il dialogo fra Stati Uniti e Myanmar continuerà. E l’Unione europea poterebbe accodarsi. Ma, all’interno dei Paesi Asean, emerge un nuovo fronte di crisi fra Cambogia e Thailandia. Cina e India mantengono la politica dell’aspettare e vedere.
Questa volta i generali non hanno parlato molto perché all’incontro non era presente il dittatore; essi volevano capire fino in fondo le intenzioni degli Usa. Gli ambasciatori birmani nel mondo hanno mantenuto le bocche cucite, mentre in una prigione birmana è morto l’ex Ministro degli esteri Win Aung, deceduto il giorno successivo alla partenza dei diplomatici statunitensi.
Il servizio TV sugli ultimi sviluppi nelle relazioni Usa – Myanmar ha tentato di dare la colpa a Aung San Suu Kyi. Quest’ultima ha negato di aver incontrato i suoi vice, dato che il vice-presidente U Tin Oo era stato escluso dal vertice. Il regime ha voluto mostrarsi disponibile, mentre lei fa orecchie da mercante. I militari hanno potuto sperimentare, per l’ennesima volta, che Aung San Suu Kyi è un osso duro.
La Lega nazionale per la democrazia e i partiti che rappresentano le minoranze etniche – vincitori alle elezioni del 1990 – chiedono una revisione della Costituzione promulgata nel 2008. Secondo la Costituzione, le elezioni potranno solo esprimere una preferenza per collaboratori che non avranno alcuna possibilità di entrare nel dibattito politico. Non ci saranno rappresentanze al governo o all’opposizione parlamentare. Tutti i parlamentari eletti dovranno lavorare secondo le direttive imposte dal generalissimo Than Shwe. Sarà come disputare un combattimento di lotta libera in una gabbia chiusa.
(Ha collaborato Nirmala Carvalho)
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