Diritti umani violati di continuo nel Bhutan, finto regno della felicità
Timphu (AsiaNews) – In Bhutan, dove la felicità dei cittadini è un indice economico, continuano le violazioni dei diritti umani contro minoranze etniche e religiose. Dopo il caso di Prem Singh Gurung, cristiano protestante condannato a tre anni di carcere per aver proiettato un film sulla vita di Gesù, altri due cristiani sono ricercati in questi giorni dalla polizia. Essi sono accusati di aver collaborato insieme a Gurung nel fare proselitismo tra gli abitanti del distretto di Jigmecholin.
Dal 2006 il governo del Bhutan ha iniziato a promuovere la democrazia, dopo secoli di monarchia assoluta che proibiva la pratica di religioni diverse dal buddismo. La nuova costituzione varata nel 2008 prevede la libertà di fede per tutti i bhutanesi, previa la segnalazione alle autorità competenti. Tuttavia è vietato il proselitismo, la pubblicazione di bibbie, la costruzione di scuole cristiane e l’ingresso ai religiosi. Nonostante la democrazia, il regno riceve continue accuse di violazione dei diritti umani, soprattutto contro dissidenti politici e minoranze etniche.
Lo scorso 27 novembre a New Delhi, rappresentanti del Bhutan, hanno partecipato per prima volta alla conferenza sui diritti umani nell’Asia del Sud organizzata dalla South Asian for Human Rights. Tra questi Tek Nath Rizal leader del Bhutanese People's Party, ha denunciato la grave situazione nel suo Paese, chiedendo alla comunità internazionale di fare pressioni sul governo per il rilascio dei due cristiani. “Il Bhutan – ha affermato – è uno Stato multietnico e multilinguistico. Nel Paese sono parlate 22 lingue. Purtroppo, il governo ha imposto 'una lingua ufficiale il ‘dzongkha’ e il buddismo Kagyurpa come unica religione. Induismo, cristianesimo e anche la setta buddista Nyingmapa sono state soppresse”.
Secondo il dissidente nelle regioni meridionali a maggioranza nepalese le scuole sequestrate negli anni '90 dal regime non sono mai state restituite alla comunità e sono ora dei ruderi. I pochi bambini che frequentano gli istituti pubblici sono obbligati a parlare lingua, religione e tradizioni imposte dal governo. Inoltre Rizal sottolinea che i processi sono pronunciati in lingua Dzongkha e spesso nei tribunali non vi sono interpreti, quindi chi non conosce il linguaggio non si può difendere in sede processuale.
Il dissidente ha denunciato anche la situazione dei dissidenti politici, torturati in carcere e degli oltre 80mila profughi di origine nepalese da oltre 10 anni in esilio nei campi profughi al confine con il Nepal.
“Considerando il grado di oppressione sulle persone innocenti – ha affermato - finora il Bhutan è non è mai stato una vera democrazia, perché ha omesso di affrontare il problema dei prigionieri politici, molti dei quali hanno subito torture. In sostanza, il regime ha cercato di bendare la comunità internazionale utilizzando il nome democrazia.”