Diritti umani negati: operaia nord-coreana fugge dal complesso industriale di Kaesong
Seoul (AsiaNews/Agenzie) – E' la prima nordcoreana a esser fuggita dal complesso industriale inter-coreano di Kaesong: la donna, 27enne, la cui identità resta segreta per motivi di sicurezza, si è rifugiata in Cina attraversando il fiume Tumen, in attesa di un visto di espatrio per emigrare in Corea del Sud. Lo rivela oggi Kim Yong-hwa, attivista per i diritti umani, impegnato nella difesa dei cittadini della Corea del Nord che abbandonano il loro Paese per povertà e mancanza di libertà personali.
Secondo l’attivista, all’origine della fuga vi sarebbe la mancata concessione del nulla osta per le nozze: le donne che lavorano a Kaesong, infatti, non possono sposarsi pena l’allontanamento. “Una palese violazione dei diritti umani”, commenta l’attivista.
La notizia della fuga non è stata confermata dal Ministero per l’unificazione sud-coreano o dai vertici delle aziende del Sud che operano oltreconfine, forse per non suscitare le ire di Pyongyang. Si tratta del primo caso appurato di fuga di un operaio nord-coreano dal complesso di Kaesong, all’interno del quale lavorano circa 36mila cittadini del Nord sotto lo stretto controllo del regime di Pyongyang. Il governo ha selezionato con cura i candidati, scegliendo quanti provenivano da famiglie “agiate” per evitare che un contatto con gente del Sud potesse diventare un incentivo alla fuga.
In tema di diritti umani negati dal regime comunista di Pyongyang è esemplare la testimonianza di un profugo nato e cresciuto nei campi di concentramento nord-coreani, fuggito in Cina e rifugiatosi in Corea del Sud. Shin Dong Hyuk, attivista che oggi si batte per la democrazia e la libertà nel Nord, ha raccontato l’esperienza vissuta in un volume intitolato “Evasione verso il mondo esterno”.
Shin, nato nel 1982, descrive la vita e le regole brutali che vigono all’interno del Campo di lavoro 14 a Kaechon, nella provincia meridionale di Pyongan. Egli è il primo caso conosciuto in occidente di cittadino nord-coreano fuggito dai campi di lavoro: durante la detenzione Shin ha assistito all’assassinio della madre e del fratello, perché colpevoli di aver tentato la fuga. Egli è stato sottoposto a torture di ogni genere e il solo momento di tenerezza che ricorda è la condivisione di un pasto con un prigioniero più anziano, che gli ha offerto parte del suo cibo. “Ora tutto ciò che desidero – racconta Shin – è una vita normale, come quella degli altri cittadini sud-coreani”. Il sogno? “Sposarmi e avere dei figli”.