Diritti umani, vero fulcro del nuovo Forum fra cattolici e musulmani
di Samir Khalil Samir, sj
Il p. Samir Khalil Samir, gesuita egiziano ed esperto di Islam, commenta ad AsiaNews la creazione della nuova Commissione di dialogo e spiega: è una strada lunga, ma che deve essere percorsa. Importante inoltre creare una realtà simile per gli sciiti, ramo importante dell’islam. Da non dimenticare: tutto è partito dal discorso di Benedetto XVI a Regensburg.
Roma (AsiaNews) – Quella del dialogo fra cattolici e musulmani “è una strada lunga, che potrebbe durare decenni, ma che porterà tutti noi a riconoscerci come fratelli, pur se nelle diversità”. È il commento di p. Samir Khalil Samir, dopo la visita in Vaticano di una delegazione dei leader musulmani firmatari della Lettera aperta ai leader cristiani “Una parola comune fra Noi e Voi”.
L’incontro è avvenuto il 4 ed il 5 marzo scorso presso il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Al termine le parti hanno annunciato la creazione di un Forum cattolico-islamico “per sviluppare ancora di più il dialogo fra cattolici e musulmani”. Il Forum si riunirà per la prima volta a Roma dal 6 all’8 novembre prossimo.
All’appuntamento di novembre parteciperanno 24 leader religiosi e studiosi delle due religioni. Il tema da affrontare sarà “L’amore di Dio, l’amore per il prossimo”: nei 2 giorni di incontri si parlerà di “Fondamenti teologici e spirituali” e di “Dignità umana e rispetto reciproco”. Al termine, i partecipanti saranno ricevuti da Benedetto XVI.
Ecco quanto ha dichiarato p. Samir ad AsiaNews.
La Commissione nata il 5 marzo fra cattolici e musulmani è definita “stabile e duratura” e servirà a “rinforzare l’amore per Dio e gli Uomini”.
Il primo principio alla base di questo incontro era quello di mettersi d’accordo su un programma comune e sulla creazione di una Commissione di dialogo duratura: non una realtà occasionale, ma un Forum simile a quello già esistente fra il Vaticano e l’università islamica di al-Azhar. Questa nuova realtà giordana presieduta dal re [che ha promosso la lettera degli studiosi islamici ai leader cristiani ndr], cerca di radunare al suo interno il più largo numero di pensatori e leader religiosi islamici.
Creare una Commissione duratura – che si riunisce ogni anno, prima in Vaticano e poi ad Amman – mi sembra essenziale perché evita esternazioni impulsive, come la minaccia di una rottura dei rapporti fra cattolici e musulmani. In più, è importante la decisione di poter riunire la Commissione ogni volta che ci sia bisogno.
Il secondo principio è stato quello di stabilire il contenuto di questi incontri. I partecipanti hanno deciso che, in linea di massima, l’amore per Dio e l’amore per il prossimo sarà il tema dominante: in questo modo si accoglie i suggerimento della Lettera dei 138 – “Una Parola comune fra Noi e Voi” – che mette questo concetto al centro dei rapporti fra le due religioni.
Diritti umani e rispetto reciproco
Da parte sua la Chiesa ha accettato come fondamentale questo punto, ma ha aggiunto 2 argomenti: diritti umani e rispetto reciproco. Questo perché la fede ha due dimensioni: quella teologica e spirituale (capire su quali punti ci fondiamo come religioni), ed una dimensione più concreta, cioè quella della dignità dell’uomo – questa è fondamentale, perché al suo interno rientrano tutti i diritti umani –e del rispetto reciproco.
Da un certo punto di vista, questa sottolineatura ha già una dimensione teologica. Dal punto di vista cristiano, infatti, l’uomo – immagine di Dio – ha una dignità assoluta, anche se ateo o peccatore. È una cosa connaturale all’uomo: egli è l’essere più nobile della creazione. Dietro questo concetto, vi è tutto il programma del dialogo.
Quanto al rispetto reciproco, questo deve essere la base per mettersi d’accordo sui rapporti fra le religioni. Il problema è questo: noi sappiamo di avere dei dogmi diversi, addirittura su certi punti opposti. Allora, che fare? Significa che non possiamo avere un dialogo? No, si può avere se si rispettano entrambi i dogmi.
Facciamo un esempio. Tu, musulmano, dici che Maometto è messaggero di Dio, addirittura “il sigillo dei profeti”: nell’affermarlo sei nel tuo pieno diritto, ma devi riconoscere che per me, cristiano, è pieno diritto dire che Maometto non è messaggero di Dio. Parallelamente, il cristiano dice che Cristo è Figlio di Dio. Questo è un suo diritto innegabile, ma allo stesso tempo nessuno può obbligare il musulmano a dire che Cristo è Figlio di Dio.
Il rispetto reciproco vuol dire: tu hai i tuoi principi, ed hai il diritto di esporli, ma non puoi obbligarmi a riconoscerli come validi per me. Per riprendere l’espressione coranica: “A voi la vostra religione, a me la mia” (Corano 109:6), come diceva Muhammad, il profeta dei musulmani, ai miscredenti della Mecca.
I diritti umani diventano perciò la base per costruire l’edificio, perché la vera cosa in comune fra cristiani e musulmani, anzi fra tutti gli uomini, è la nostra natura umana. Con questo concetto condiviso da tutti, i dogmi e le credenze religiosi possono essere condivisi, ma anche non condivisi.
Costruire insieme una società comune a tutti
Questo programma servirà man mano alla costruzione di un progetto di società dove stabilire visioni comuni. Questo vale, per fare un esempio, anche nel dibattito che ha animato in questi ultimi tempi l’Italia: fino a che punto possiamo dire che un feto è un essere umano, nel pieno senso della parola? Se ne discute, all’interno del dibattito della dignità umana e del suo inizio. In questo modo, si affinano le proprie opinioni fino a poter dire: viviamo insieme come fratelli, sapendo che siamo diversi.
Questo “principio di Dio” ha alla base proprio l’amore per Dio e l’amore per il prossimo. Quest’ultimo, ad esempio, è un concetto da affinare: chi è il mio prossimo? Nel Vangelo, alla stessa domanda postagli da un dottore della Legge (“E chi è il mio prossimo?” Luca 15:29), Cristo spiega che non è questo il vero interrogativo. La vera domanda è: “Come posso divenire io il prossimo di tutti gli uomini, fosse anche di un mio nemico?”.
Dunque, operando queste distinzioni, la neonata Commissione ha posto le fondamenta di ciò che potrebbe diventare un progetto di società, più allargato rispetto ai termini in cui è nato.
E’ un dialogo con tutti i musulmani?
Tutto questo va inserito nel contesto della realtà islamica. Con l’islam sunnita non si potrà mai avere un dialogo con un ente che sia rappresentativo di tutti i fedeli: non esiste nell’islam un magistero o una gerarchia. Questo particolare rende il dialogo islamo-cristiano simile al dialogo con i protestanti: con chi parlare? Dobbiamo avere un dialogo con ciascuno dei gruppi, partendo dai più grandi, ma anche lì esistono dei problemi. Una volta fatto l’accordo con i luterani, questo non è stato accettato da tutti i fedeli. Non esiste il principio dell’autorità unica, da seguire per tutti.
In un certo senso, con l’islam sunnita è lo stesso. Chi firma una dichiarazione, può dire di rappresentare semplicemente sé stesso. In un certo senso, però, questo gruppo ha una autorità morale, anche se non giuridica, che può servire ad altri a precisare idee e concetti. In questo caso, tenuto conto dell’impegno della Fondazione Aal al-Bayt e del numero assai grande dei firmatari, questo gruppo potrebbe giocare un ruolo più importante dei suoi predecessori.
Prima o poi dovremo dialogare anche con gli sciiti, perché questo è un ramo importante dell’islam (sono circa il 15 % dei musulmani totali), che ha dei principi assai diversi dal punto di vista dell’interpretazione rispetto a quelli sunniti: danno di solito più importanza alla metafisica, alla spiritualità. Soprattutto, hanno un sistema gerarchico sconosciuto ai sunniti ed una tradizione teologica ed esegetica diversa. Inoltre, l’evoluzione politica e religiosa dei sciiti invita tutti quanti a stabilire rapporti strutturati con loro. Dunque si dovrà presto o tardi creare un dialogo anche con loro.
Insomma, il dialogo interreligioso è qualcosa che va passo per passo, e richiede decenni. Questo è normale, perché con i musulmani abbiamo secoli di storia parallela, talvolta costellata da episodi contrastanti. Quindi al primo posto, se si vuole un vero dialogo, vi è la necessità di ricreare la fiducia, perché se non ci si fida, le parole diventano vuote. Questo richiede un cammino, che durerà molti anni: basta vedere il cammino all’interno della famiglia cristiana, per rendersi conto di quanto sia difficile. Proprio perché è difficile, è urgente cominciare subito e farlo su delle base solide.
Riflessioni conclusive
Vorrei concludere con una doppia riflessione. La prima è per notare che tutto questo processo (la lettera dei 38 dotti, la risposta del Vaticano, la lettera dei 138, la risposta del Papa attraverso il cardinal Bertone, la risposta del principe Ghazi e l’incontro di ieri) è nato dal discorso del Professor Ratzinger (papa Benedetto XVI) nella sua antica Università a Regensburg, del 12 settembre 2006. Tutto è partito da una frase di Manuele II Paleologo nel suo scambio con il saggio persiano (al-Mudarris). Questa frase ha suscitato fiumi di scritti!
C’è chi ha considerato questa frase e quel discorso come un errore, c’è chi l’ha considerato come una “felix culpa”, e c’è chi l’ha considerato come una “parola di verità”. La storia lo dirà. È sicuro, però che quel discorso, nella sua profondità, ha spinto tutti a riflettere. A Dio sia la lode! Wa-l-hamdu li-llâh!
La seconda è che, grazie allo spirito e al cuore aperti di tanta gente, e in particolare della Fondazione Aal al-Bayt, dallo scontro iniziale sta venendo fuori l’incontro. A Dio sia lode per sempre! Wa-l-hamdu li-llâhi dâ’iman!
Ormai, c’è una strada bellissima da percorrere, una strada che porta a riconoscersi come fratelli, pur nella diversità religiosa, culturale e spirituale.
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