Dharamsala: stop alle proteste anti-cinesi, rispetto per le vittime del Sichuan
di Nirmala Carvalho
Il governo tibetano in esilio ha chiesto agli esuli sparsi in tutto il mondo di fermare ogni protesta almeno fino alla fine di maggio. Il Dalai Lama appoggia la decisione e loda “i segni di apertura” che provengono da Pechino. Attivista tibetano: non dimentichiamo chi soffre per la repressione comunista, continuiamo sulla nostra strada.
Dharamsala (AsiaNews) – Il governo tibetano in esilio ed il Dalai Lama hanno chiesto ai tibetani residenti in tutto il mondo di interrompere le proteste anti-cinesi in segno di rispetto per le vittime del disastroso terremoto che ha colpito lo scorso 12 maggio la provincia centro-meridionale del Sichuan. Nel frattempo, però, alcuni leader della protesta chiedono al mondo di non dimenticare “il disastro causato dai comunisti in Tibet”.
Secondo un documento pubblicato ieri dal governo di Dharamsala, inviato a tutti gli uffici di rappresentanza del Tibet sparsi per il mondo, “le proteste per la repressione cinese del Tibet iniziata lo scorso 10 marzo vanno fermati almeno fino alla fine di maggio. I tibetani dovrebbero inviare lettere e messaggi ai sopravvissuti, in modo da far sentire la propria solidarietà”. Inoltre, “si deve fare il possibile per portare aiuti: raccolte fondi e gruppi di volontari, ma anche veglie di preghiera in memoria delle vittime”.
Da parte sua, il Dalai Lama ha confermato l’intenzione di fermare le critiche al governo cinese, ed ha dichiarato alla BBC di “aver visto una maggiore apertura dei dirigenti comunisti rispetto ai media ed agli aiuti internazionali, un buon segno in mezzo a tanta disperazione”. Nel corso della sua visita ufficiale a Londra, il leader buddista ha aggiunto: “Spero che questa nuova mentalità, più aperta, venga mantenuta. Credo che questa trasparenza potrà essere applicata anche in altri campi critici, non ultimo lo stesso Tibet”.
Dhondup Dorjee, vice presidente del Congresso dei giovani tibetani, non la pensa allo stesso modo. Ad AsiaNews, l’attivista dice: “Dobbiamo distinguere fra i disastri naturali e quelli provocati dall’uomo, come la repressione cinese del Tibet. Il terremoto è stata una tragedia, e noi abbiamo pregato per le vittime ed i sopravvissuti, ma non possiamo dimenticare chi soffre in patria”.
Proprio questa mattina, aggiunge, “abbiamo ricevuto notizia di nuovi arresti, questa volta contro delle monache di Lhasa. Il Partito comunista del Tibet ha ripreso la sua campagna di rieducazione religiosa, ed i nostri fratelli soffrono in maniera indicibile. Non possiamo fermare la protesta, almeno finché il Tibet non sarà davvero libero”.
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