"Deus caritas est": l'eros e l'agape di Dio, medicina per il mondo
La prima enciclica di Benedetto XVI non è solo il programma del suo pontificato: essa è anche il programma della Chiesa nel terzo millennio. Di fronte a una globalizzazione dell'economia che crea masse enormi di poveri, stati che sembrano "bande di ladri" per la loro incuria sulla giustizia, un marxismo dal "sogno svanito" e un materialismo dominante che ha reso l'uomo una "cosa", il papa invita i cristiani a essere "sorgenti di acqua viva in mezzo a un mondo assetato" (n.41).
Nel leggere le pagine dense di cultura, di analisi sociali, di fede e di preghiera, si ha la percezione di stare all'inizio di una nuova era, di un nuovo e deciso modo di guardare ai problemi del mondo e alle possibili soluzioni. Qua e là il papa cita varie volte il tema di un "nuovo umanesimo", di un "vero umanesimo", di una nuova "immagine dell'uomo".
Il vero destinatario dell'enciclica è l'uomo, l'uomo e la donna, guardati nel loro slancio vitale, nel loro eros, nella loro ricerca di felicità e di giustizia. Il papa si rivolge a quest'uomo non per disprezzarlo e giudicarlo dall'alto di un farisaismo puritano, ma per apprezzarlo con tenerezza. Nello stesso eros, nella sua ricchezza e povertà, nei suoi slanci e cadute, oltre le manipolazioni consumiste, il papa ritrova tutti gli elementi per mostrare che l'eros e l'agape di Dio uniti - compiono proprio l'attesa dell'eros umano verso la pienezza e l'eternità. D'ora in poi, grazie a questo papa sarà possibile dirsi ancora "ti amo per sempre", "ti amo con totalità" senza sorridere con ironia e sufficienza. E sarà possibile pensare al matrimonio e perfino alla indissolubilità non come un "comando" o una legge esterna, ma come il compimento di un'esigenza presente nell'eros.
Il papa cita Nietzsche che accusa la Chiesa di avere "avvelenato" l'eros. In realtà è l'eros malato e stanco di oggi, tentato dal disprezzo di sé e degli altri, ad essere avvelenato. E l'enciclica, parlando del Dio persona, appassionato come un amante e misericordioso fino a morire per l'altro, dice che ne è in realtà la medicina.
Questa medicina è anzitutto il lavoro paziente di mettere insieme, unificare, riconciliare elementi che nella società e nella Chiesa rischiano di opporsi e dividersi: eros e agape, sentimento e volontà, giustizia e carità, amore di Dio e amore del prossimo, evangelizzazione e promozione umana, preghiera ed efficienza.
La medicina dell'amore di Dio, testimoniato dalla Chiesa è il più urgente bisogno del mondo. Il papa liquida il marxismo come un "sogno infranto" e perfino come "ideologia disumana" e chiede agli stati di lasciare libera la Chiesa di operare nella carità per creare più giustizia nella società e di farsi influenzare da una visione dell'uomo che lascia spazio alla religione, al suo rapporto con il divino, pena il divenire una "banda di ladri", soffocati dall'interesse e dal potere, dall'accecamento etico.
L'universalità della carità, questo prezioso dono del cristianesimo al mondo, è necessaria più che mai nella situazione di globalizzazione attuale, capace di unire continenti ed economie, ma anche di dimenticare nella povertà e nell'ingiustizia interi popoli. Con il realismo di Gesù ("i poveri li avrete sempre con voi") il papa afferma che nessuna società potrà fare mai a meno del gesto gratuito e personale dell'amore verso il prossimo.
L'universalità della carità e la sua concretezza nella storia sono importanti anche per strappare il volto di Dio e dell'uomo alle tentazioni di "dottrine fanatiche e terroristiche" (come nell'Islam fondamentalista) e dell'annullamento di sé come predicato dalle dottrine orientali ( la divinizzazione dell'uomo non è "un affondare nell'oceano anonimo del Divino" - n. 10). Ma è soprattutto la strada per far crescere la carità oltre i confini della Chiesa stessa.
Già oggi, dal nostro osservatorio asiatico, vediamo movimenti buddisti giapponesi che si ispirano ai cristiani nel loro aiuto ai poveri e agli anziani; indù che spinti dall'esempio della Chiesa aprono ospedali e scuole. Tutto questo è il preannuncio dell'epoca nuova di un "vero umanesimo", della forza del cristianesimo oltre le frontiere confessionali.
Giovanni Paolo II nella "Novo Millennio Ineunte" aveva indicato per i cristiani del terzo millennio il compito di esprimere "la fantasia della carità", la creatività nell'affrontare problemi e manifestare solidarietà. Questo papa conferma quell'impegno e chiede alla Chiesa di abbracciare il servizio della carità come un elemento essenziale della fede. Lo chiede ai vescovi, spesso tentati di essere amministratori delle diocesi, perché mettano sullo stesso piano la carità e l'annuncio, e lo chiede ai laici, tentati dall'attivismo efficientista, che rischiano una solidarietà senza identità.
Il richiamo a Madre Teresa (citata ben tre volte nel testo) ribatte questi elementi. Giovanni Paolo II aveva beatificato la madre dei poveri come "missionaria per il terzo millennio"; con il suo esempio, questa donna esile è riuscita a smuovere governi e organizzazioni mondiali; con la sua carità ha incontrato e collaborato con musulmani, indù, atei. Tutto questo fondandosi nell'amore di Gesù, domandato nella preghiera, contemplato nell'eucaristia, visitato nei poveri.