Deus caritas est: l'aiuto dei cristiani sotto falso nome per evitare la persecuzione
Un commento all'enciclica di Benedetto XVI da parte di Mons. Barwa, vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Ranchi,: "La lettera del papa spiega la molla che ci spinge al bene, nonostante le violenze dei nazionalisti indù".
Ranchi (AsiaNews) La carità a Ranchi "deve essere fatta sotto falso nome" perché la maggioranza della popolazione aderisce ai principi del nazionalismo hindutva e "non vuole essere aiutata, a volte neanche toccata, dai cristiani". Monsignor Vincent Barwa, ausiliare dell'arcidiocesi di Ranchi, capitale dello stato nord-occidentale di Jharkhand (a maggioranza tribale), spiega ad AsiaNews l'impatto dell'enciclica papale Deus caritas est fra i cattolici indiani e di come "la carità qui debba vestire falsi nomi".
"I nostri giovani spiega sono spinti alla carità, ma col tempo abbiamo capito che anche avere un nome cristiano rappresenta qui un problema ed un pericolo: per fare opere di carità, dobbiamo a volte usare i nomi indù". Il problema non si risolve facilmente in altri campi: "I ragazzi aggiunge il prelato affrontano un tasso di disoccupazione altissimo a causa di una campagna costante di discriminazione contro i cristiani. In questo caso non si può ignorare il problema o aggirarlo, ma si deve prenderne atto e cercare di fare qualcosa per migliorare la situazione".
In questo contesto, la lettera papale è "un documento universale e molti fra i cattolici indiani la apprezzano: allo stesso tempo, molti non ne comprendono la portata, che invece spiega proprio il modo in cui l'amore di Dio è la molla che ci spinge alla carità nonostante le violenze continue che subiamo".
Il problema è anche educativo: "A parte coloro che hanno studiato fuori dall'India, molti non capiscono proprio i concetti espressi da Benedetto XVI perché sono molte le cose che non si accordano con le tradizioni indiani". "Cerchiamo continua il presule - di spiegare il messaggio papale, nella lingua e con gli esempi del luogo. Proviamo a farlo con dei corsi in diocesi, ma non è facile. Gli interessati non mancano, ma i nazionalisti ci osteggiano".
La situazione dell'arcidiocesi di Ranchi e dello stato in generale, infatti, "non è buona; la nostra missione è un bersaglio continuo e la Chiesa, e lo stesso cardinale, molto criticati". E' proprio qui che, il 12 settembre scorso, è morto "per mano degli estremisti della destra nazionalista" padre Agnos Bara, assistente del parroco di Baba Bira, accoltellato mentre cercava di difendere alcuni manifestanti tribali dall'attacco di un gruppo di integralisti.
Il giorno dopo il cardinale Telesphore Toppo, presidente della Conferenza episcopale indiana e arcivescovo di Ranchi, aveva definito ad AsiaNews p. Agnos "un martire della pace". Questo omicidio è "solo l'ultimo, eclatante caso di violenza contro la comunità cattolica. Qui siamo tutti guardati con sospetto".
Una violenza "forse ancora più profonda" è quella che il governo muove contro le opere educative della zona. Lo scorso ottobre l'amministrazione statale ha approvato un decreto con cui si ordina alle scuole cristiane riconosciute dallo Stato di assumere come dirigenti scolastici i funzionari governativi. "E' una cosa incredibile commenta il presule perché il nostro operato in campo educativo è apprezzato ed è spesso l'unica occasione per i poveri o per le donne di emergere dalla loro condizione". L'arcidiocesi gestisce, solo nel suo territorio, 135 scuole di cui molte a carattere professionale.