Denaro ed energia alimentano il conflitto fra esercito birmano e minoranze etniche
di Yaung Ni Oo
Attivisti e ambientalisti puntano il dito contro dighe, infrastrutture e sfruttamento delle materie prime: arricchiscono la leadership politica e mettono in ginocchio il popolo. Nello Stato Karen migliaia di famiglie senza casa per un’autostrada. La diga di Myitsone (Kachin) causa di danni gravissimi; l’azienda cinese che cura il progetto ne vuole costruire altre sette.
Yangon (AsiaNews) – Dietro gli scontri fra esercito governativo e minoranze etniche, sfociati nello Stato Kachin (nel nord del Myanmar) in una vera e propria guerra civile, vi sarebbero interessi economici miliardari legati alla costruzione di dighe, infrastrutture e sfruttamento delle materie prime. Lo denunciano ambientalisti e attivisti birmani, secondo cui le decine di progetti promossi o finanziati dall’estero – in particolare da gruppi e imprese cinesi – alimentano ed esasperano la crescente tensione fra i gruppi armati e i militari. Intanto la popolazione civile è vittima di espropri forzati, omicidi e stupri, mentre l’ecosistema naturale rischia danni gravissimi e permanenti.
Il Karen National Liberation Army (Knla), braccio armato della minoranza etnica a est del Paese, lungo il confine con la Thailandia, ha bloccato la costruzione di una imponente via di comunicazione diretta al porto di Dawei, dove sorge un polo industriale del valore di otto miliardi di dollari. La costruzione dell’autostrada – lunga circa 160 km – avrebbe già colpito le popolazioni dislocate nell’area: almeno duemila famiglie saranno costrette ad abbandonare le loro case, senza risarcimenti adeguati. Il governo birmano – frutto delle elezioni “farsa” del novembre 2010 e insediatosi nell’aprile scorso – avrebbe inoltre venduto i terreni situati attorno all’autostrada a investitori e uomini di affari, legati alla leadership politico-militare che domina il Paese. Le riforme economiche e le privatizzazioni promesse dall’esecutivo, in realtà, sono un pretesto per favorire accoliti o imprenditori fedeli alla giunta. E le leggi che dovrebbero regolare le proprietà terriere in Myanmar sono vaghe e interpretate a vantaggio dei potenti.
Intanto prosegue la controversia attorno alla costruzione della diga di Myitsone, lungo il fiume Irrawaddy, nello Stato settentrionale Kachin, al confine con la Cina (nella foto). Dopo anni di tregua, nel giugno scorso è ripresa la guerra civile fra l’esercito birmano e le milizie ribelli del Karen Indipendence Army (Kia), che ha già fatto registrare decine di morti e feriti. Attivisti per i diritti umani e ambientalisti sottolienano che gli investimenti provenienti dall’estero contribuiscono ad esasperare il conflitto; fra i principali imputati vi sono le aziende cinesi, che riversano miliardi di dollari nelle tasche della giunta militare e stravolgono la vita della popolazione e l’ecosistema naturale.
La pericolosità della controversa centrale idroelettrica di Myitsone è testimoniata anche da un rapporto interno della China Power Investment Corporation (Cpi), multinazionale cinese responsabile del progetto. Esso potrebbe causare – secondo il documento – “problemi gravissimi” non solo nell’area ma in tutto il Paese. Tuttavia i dirigenti della società hanno glissato sui risultati, tanto che la Cpi ha intenzione di costruire sette mega-centrali sul fiume Irrawaddy. In totale sarebbero 48 i progetti di centrali idroelettriche in Myanmar, già avviati o in fase di stesura, di cui 25 simili alla super-diga di Myitsone. Ad un costo di 35 miliardi di dollari, capaci di generare 40mila Mw di corrente (destinata al mercato estero) e che porteranno nelle tasche del governo birmano almeno 4 miliardi di dollari all’anno in proventi.
Il Karen National Liberation Army (Knla), braccio armato della minoranza etnica a est del Paese, lungo il confine con la Thailandia, ha bloccato la costruzione di una imponente via di comunicazione diretta al porto di Dawei, dove sorge un polo industriale del valore di otto miliardi di dollari. La costruzione dell’autostrada – lunga circa 160 km – avrebbe già colpito le popolazioni dislocate nell’area: almeno duemila famiglie saranno costrette ad abbandonare le loro case, senza risarcimenti adeguati. Il governo birmano – frutto delle elezioni “farsa” del novembre 2010 e insediatosi nell’aprile scorso – avrebbe inoltre venduto i terreni situati attorno all’autostrada a investitori e uomini di affari, legati alla leadership politico-militare che domina il Paese. Le riforme economiche e le privatizzazioni promesse dall’esecutivo, in realtà, sono un pretesto per favorire accoliti o imprenditori fedeli alla giunta. E le leggi che dovrebbero regolare le proprietà terriere in Myanmar sono vaghe e interpretate a vantaggio dei potenti.
Intanto prosegue la controversia attorno alla costruzione della diga di Myitsone, lungo il fiume Irrawaddy, nello Stato settentrionale Kachin, al confine con la Cina (nella foto). Dopo anni di tregua, nel giugno scorso è ripresa la guerra civile fra l’esercito birmano e le milizie ribelli del Karen Indipendence Army (Kia), che ha già fatto registrare decine di morti e feriti. Attivisti per i diritti umani e ambientalisti sottolienano che gli investimenti provenienti dall’estero contribuiscono ad esasperare il conflitto; fra i principali imputati vi sono le aziende cinesi, che riversano miliardi di dollari nelle tasche della giunta militare e stravolgono la vita della popolazione e l’ecosistema naturale.
La pericolosità della controversa centrale idroelettrica di Myitsone è testimoniata anche da un rapporto interno della China Power Investment Corporation (Cpi), multinazionale cinese responsabile del progetto. Esso potrebbe causare – secondo il documento – “problemi gravissimi” non solo nell’area ma in tutto il Paese. Tuttavia i dirigenti della società hanno glissato sui risultati, tanto che la Cpi ha intenzione di costruire sette mega-centrali sul fiume Irrawaddy. In totale sarebbero 48 i progetti di centrali idroelettriche in Myanmar, già avviati o in fase di stesura, di cui 25 simili alla super-diga di Myitsone. Ad un costo di 35 miliardi di dollari, capaci di generare 40mila Mw di corrente (destinata al mercato estero) e che porteranno nelle tasche del governo birmano almeno 4 miliardi di dollari all’anno in proventi.
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