Democrazia a rischio, se l’Indonesia non affronta l’eredità Suharto
L’ex dittatore ricoverato in gravi condizioni di salute è al centro di una discussa ondata di “compassione”. Da più parti leader politici chiedono al presidente di “perdonare” l’anziano leader, su cui pendono pesanti accuse di corruzione. Ma c'è chi dice che mettere semplicemente in un cassetto la trentennale dittatura di Suharto significa rendere il Paese facile preda di un nuovo despota.
Jakarta (AsiaNews) – L’Indonesia rischia di cadere preda di un nuovo dittatore, se non avrà il coraggio di guardare in faccia l’eredità lasciatale da Suharto. Lo sostengono analisti indonesiani, interpellati sull’inattesa ondata di “compassione” che sta investendo il discusso ex presidente. Accusato di corruzione e ritenuto responsabile di innumerevoli violazioni dei diritti umani, Suharto è ricoverato da settimane a Jakarta in gravi condizioni. Le richieste di perdono, per motivi umanitari, arrivate da più parti in questi giorni dimostrano, secondo esperti, l’esistenza di forti interessi ai vertici del Paese a non volersi confrontare con un passato forse ancora troppo attuale.
Il Prosperous Justice Party (PKS) ha annunciato ieri di voler chiedere al capo di Stato Susilo Bambang Yudhoyono di “perdonare” l’ex dittatore. L’iniziativa sarebbe mossa dall’intento di promuovere la “riconciliazione nazionale”, per traghettare l’Indonesia verso un “futuro migliore”. La mossa sorprende molti, in quanto il PKS ha fatto della lotta alla corruzione uno dei suoi cavalli di battaglia elettorale. Stessa richiesta è stata avanzata dal partito Golkar, del vicepresidente Jusuf Kalla. La formazione, che riunisce gli ex-collaboratori del dittatore, mira ad una “sospensione” di tutti i procedimenti legali pendenti sull’ex capo di Stato. Anche il presidente di Timor Est, Ramos Horta - un tempo nemico di Suharto nella lotta per l’indipendenza dell’isola - si è espresso per il perdono.
Nei decenni in cui ha guidato l’Indonesia (1967 – 1998), l’ex presidente sfruttò la crescita economica per arricchire la propria famiglia e i suoi collaboratori attraverso una serie di monopoli statali, sussidi e meccanismi illeciti. Secondo stime non ufficiali, il suo patrimonio familiare si aggirerebbe tra i 15 e i 35 miliardi di dollari. Nel 2000, due anni dopo essere stato costretto alle dimissioni, è finito sotto inchiesta per aver sottratto fondi statali per 600 milioni di dollari (407 milioni di euro); il procedimento a suo carico, però, è stato sospeso proprio a causa del suo stato di salute. Non è mai stato processato neppure per le numerose violazioni dei diritti umani commesse nel Paese mentre era al potere.
Proprio perché finora non vi è nessuna condanna definitiva nei confronti di Suharto, il governo rimane neutrale, spiegando che non sussiste la possibilità di “grazia”, laddove non vi è una condanna. Ma fuori dal Pertamina, dove è ricoverato il politico, una folla di attivisti chiede giustizia. Mukhtar Pakpahan, che fu arrestato per aver insultato Suharto durante il regime del “Nuovo Ordine”, urla: “Preghiamo per la sua guarigione e perché possa presentarsi davanti alla legge”.
Esperti indonesiani sono convinti della necessità di fare i conti con l’eredità di Suharto per garantire il futuro della democrazia nell’arcipelago. Anche se il governo democratico attuale vuole mostrarsi diverso, spiegano, la situazione è ancora la stessa di 10 anni fa: la corruzione capillare; il potere dell’esercito, che uscito dalla vita pubblica, continua a gestire i suoi interessi, senza il controllo di nessun organo civile; l’interferenza della politica nella sistema giudiziario e i conseguenti fallimenti di questo nel proteggere i diritti dei cittadini comuni. “Finché l’Indonesia non ripudia in modo deciso il trentennio di Suharto – sostengono gli analisti – il Paese rimarrà facile preda del prossimo aspirante dittatore: potrà essere un altro Sukarno, ma anche un carismatico mullah”.
Vedi anche