10/10/2012, 00.00
EGITTO
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Decine di migliaia di egiziani in piazza a un anno dal massacro dei copti a Maspero

Alla manifestazione hanno partecipato anche musulmani, membri dell'università islamica di al-Azhar e ultras. Slogan contro il presidente Morsi e i militari accusati di non fare nulla per assicurare alla giustizia i responsabili della carneficina.

Il Cairo (AsiaNews) -  Rappresentati di tutta la società egiziana hanno partecipato ieri sera all'anniversario del massacro dei copti a Maspero. Decine di migliaia fra Cristiani, musulmani, membri di al- Azhar, islamisti e anche ultras della squadra del Cairo hanno marciato da Dawaran Shurba Square, sulla riva del Nilo, al palazzo della tv di Stato egiziana, cantando slogan contro i militari e i Fratelli Musulmani. La protesta ricalca i luoghi percorsi da migliaia di manifestanti copti che nella notte fra il 9 e il 10 ottobre 2011 protestavano contro la distruzione di due chiese copte nell'Alto Egitto da parte dei musulmani. Nel violento attacco dell'esercito contro i manifestanti indifesi sono morte 26 persone, 24 cristiani e due poliziotti.

P. Rafic  Greiche portavoce della Chiesa cattolica egiziana sottolinea ad AsiaNews che "il grande successo della manifestazione e la partecipazione di molti musulmani è un segno di speranza per i copti che da un anno lottano per ottenere giustizia". "Nessun leader politico - aggiunge - vuole affrontare questo argomento, ritenuto una delle pagine più buie della storia egiziana recente".

Prima della marcia i manifestanti si sono radunati per la preghiera del vespro rappresentando un funerale simbolico delle vittime. Una ventina di ragazze vestite da antiche egizie hanno sfilato davanti alla folla in silenzio portando le gigantografia delle giovani vittime seguite dalla replica di una nave dell'epoca dei faraoni con i nomi degli attivisti morti stampati sulle vele.

"A un anno di distanza - racconta Wael Bishay - ho ancora davanti agli occhi il corpo di mio fratello Ayman coperto di sangue dopo essere stato investito da un blindato". L'uomo, 31 anni, è uno dei tanti egiziani che non può dimenticare i fatti di sangue di quella notte e come altre 24 famiglie chiede giustizia alle autorità, che nonostante gli appelli continuano a mantenere un di silenzio sulla vicenda. A tutt'oggi il processo è in stallo per mancanza di prove. I tre soldati ritenuti responsabili degli eventi e accusati di omicidio colposo sono stati giudicati da una corte marziale e non civile e scontano una pena di soli tre anni.  La corte ha stabilito che essi sono colpevoli di "negligenza e mancanza di cautela, mentre erano alla guida del loro blindato". Nella sentenza non vi è nessun cenno all'intenzionalità del gesto. 

A tutt'oggi, nessuno dei leader militari al potere nel 2011 è stato ritenuto responsabile del massacro. Tuttavia, a distanza di un anno pare che alcune misure siano state adottate per raggiungere questo obiettivo. All'inizio di ottobre  i media hanno annunciato che Sami Anan, ex responsabile delle truppe di stanza al Cairo, Hamdy Badeen  ex capo della polizia militare e l'attuale comandante Ibrahim El-Domiaty verranno indagati per il loro ruolo nella morte di manifestanti. Nei mesi scorsi la comunità copta e familiari delle vittime hanno presentato 24 denunce al pubblico ministero  che ha trasferito il caso al ministro della giustizia. Ieri, in molti hanno criticato il comportamento di Morsi che nell'annunciare una storica amnistia per i giovani arrestati nei giorni della Rivoluzione dei gelsomini non ha nemmeno menzionato il massacro dei copti, dove l'esercito ha attaccato con i mezzi blindati una folla di persone disarmate. Fonti di AsiaNews sostengono che vi sia un sorta di accordo fra islamisti ed esercito per nascondere i reali responsabili della tragedia, alla quale avrebbero partecipato anche bande di islamisti salafiti.

Bishay Ahram, un altro testimone del massacro racconta "di aver visto i soldati gettare i corpi dei manifestanti nel Nilo". "Ricordo - continua -  anche tre veicoli blindati che a tutta velocità si scagliavano contro persone inermi con il solo obiettivo di schiacciarle". L'uomo nota che è impossibile che vi siano solo tre persone condannate per questa carneficina. Ogni blindato ha almeno tre o quattro uomini di equipaggio.

Secondo Ramy Kamel, della  Youth Maspero Union, movimento sorto dopo il massacro per aiutare le famiglie delle vittime ad ottenere giustizia, i soldati facevano parte di gruppi islamisti e ciò che hanno fatto era premeditato. "Per la prima volta nella mia vita - afferma - ho sentito dei soldati egiziani gridare Allah Akbar (Dio è grande) mentre uccidevano i nostri amici". "I militari - continua - sparavano ad altezza d'uomo con munizioni vere. Sul campo vi erano anche persone in borghese armate di fucili e pistole". Nonostante le centinaia di testimonianze, i video e le denunce fatte da organizzazioni internazionali, il Ministero della difesa continua a negare l'uso di proiettili veri e sostiene che i veicoli militari hanno schiacciato i manifestanti "involontariamente" a causa della calca. Pochi giorni dopo la tragedia il generale Mohamed el-Assar, membro del Consiglio supremo delle forze armate (Scaf) ha difeso l'esercito che avrebbe invece subito un attacco da parte della folla, che fomentata da teppisti aveva attaccato e dato fuoco a un blindato. Tali dichiarazioni hanno portato all'arresto di 31 manifestanti con l'accusa di aggressione ai militari e di possesso illegale di armi. Di recente il tribunale ha rilasciato 29 persone, trattenendo in carcere Michael Abdel-Naguib e Mosaad Shaker. Il tribunale del Ciaro ha rinviato la causa al prossimo 4 novembre.

Per gli attivisti copti, l'arresto dei due giovani e il loro processo serve per avallare la versione che considera i manifestanti responsabili degli attacchi contro l'esercito e non viceversa. Tale  convinzione è stata diffusa per mesi dai media di Stato, gli stessi che durante la sanguinosa repressione dei cristiani hanno lanciato un appello alla nazione invitando tutti i musulmani a "soccorrere le forze armate" dai loro presunti assalitori. La Youth Maspero Union ha intentato una causa contro Channel One e i suoi responsabili. 

 

 

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