Davutoglu e Bartolomeo I: i cristiani fra Turchia e Siria
Istanbul (AsiaNews) - Nella diplomazia turca c'è aria di cambiamento sullo stile con cui affrontare il problema delle minoranze non musulmane nel Paese, soprattutto i cristiani. La questione è importante anche per il futuro dei cristiani in Siria, dato che la Turchia è uno dei Paesi che più spinge al cambiamento del regime di Assad.
Fra governo turco e minoranze si respira un nuovo clima. Lo si è compreso nella visita che il 3 marzo scorso il ministro turco degli esteri Ahmet Davutoglu ha compiuto al Fanar, alla sede del Patriarcato ecumenico. La visita è passata quasi sotto silenzio fra i media, ma essa è la prima mai effettuata dal capo della diplomazia di Ankara, conosciuto come un fautore della politica neo-ottomana.
Nell'arco di un anno, questa è la seconda visita di un membro del governo, dopo quella del vicepremier Bulent Arinc, nel gennaio 2011.
Davutoglu ha introdotto un nuovo approccio tra le minoranze non musulmane , viventi da secoli su queste terre, e il potere centrale. Esso consiste nel mettere al centro dei rapporti le consultazioni e lo scambio di opinioni, per poter raccogliere le esperienze, frutto di saggezza millenaria, conoscenza ed esperienze cosmopolite, che hanno sempre contraddistinto per secoli la presenza di queste minoranze. L'avvio è stata proprio quella di incontrarsi con Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, il cui prestigio e autorità internazionali sono evidenti.
Lo stesso Bartolomeo gli ha ricordato che "la Chiesa Cristiano Ortodossa ed il Patriarcato ecumenico si trovano su queste terre e in questa città da più di 15 secoli e sono ben radicati".
Bartolomeo ha anche parlato del dialogo interreligioso intrapreso dal Patriarcato ecumenico negli ultimi 25 anni e dell'esperienza acquisita in queste iniziative. E ha riferito con ampiezza sull'ultima Synaxis dei Primati Ortodossi, convocati dal Fanar lo scorso settembre, per discutere sulla crisi in Medio Oriente e dei problemi che affliggono le comunità cristiane, residenti da due millenni su queste terre.
Nelle sue dichiarazioni, Davutoglu ha espressoche il desiderio di Ankara è l'armoniosa coesistenza di tutte le comunità religiose della Repubblica turca. Esse, con la loro ricchezza, sono "fonte di arricchimento per il nostro comune patrimonio culturale".
Egli ha anche apprezzato lo sforzo intrapreso dal Patriarcato ecumenico nel dialogo interreligioso. Tale dialogo - ha aggiunto - andrebbe intensificato "per ripristinare quel senso di sicurezza che è stato scosso, con gli ultimi cambiamenti che si stanno verificando in quelle zone del Medio Oriente, che alimentano paure e creano insicurezza tra le comunità cristiane della regione".
Ambienti diplomatici ad Istanbul commentano che queste ultime considerazioni riguardano soprattutto le minoranze cristiane della Siria, Paese in prevalenza sunnita, da decenni governata in modo autoritario da una minoranza alauita, a cui appartiene anche la famiglia Assad. Le minoranze cristiane siriane appartengono all' Antico Patriarcato ortodosso di Antiocchia e alla Chiesa melchita che, con altre piccole comunità appartengono al mondo cattolico. Sotto il regime di Assad i cristiani hanno goduto di una certa autonomia e tolleranza religiosa, ma ora, con l'imminente cambio di regime, vedono incerto il loro futuro. Va detto che la Turchia è uno dei sobillatori di questo cambio a Damasco.
Gli stessi ambienti diplomatici fanno notare pure l'importanza e la grandezza spirituale di Costantinopoli, il cui prestigio ed autorità non sono mai stati imposti. Seguendo gli antichi canoni ortodossi, il Fanar ha sempre cercato di farla accettare tale autorità come frutto di reciproco rispetto. Per questo il Patriarcato ha sempre guardato con sospetto ed evitato di essere strumento di pressioni politiche.
Mentre Davutglu esprimeva il desiderio di visitare la biblioteca della Scuola teologica di Chalki, il Patriarca ecumenico ha commentato che "rispetto al passato, il clima è molto cambiato".