Datteri e acqua per il Ramadan: gesto di ‘speranza’ sulle ferite della Terra Santa
Custodia, un gruppo ebraico e attivisti di Tag Meir ogni giovedì alla porta di Damasco hanno offerto doni ai musulmani all’uscita da al-Aqsa. P. Pari: iniziativa in atto da tempo, ma quest’anno assume valore particolare in un quadro di guerra. Anni per ricostruire rapporti e fiducia, ma sarà essenziale il ruolo dei cristiani nel promuovere perdono e riconciliazione.
Gerusalemme (AsiaNews) - Un uomo, di fede musulmana, dopo aver ricevuto datteri e un bicchiere di acqua “ha proseguito per la propria strada” per poi tornare indietro e “chiedere a un frate il perché, il significato di quel gesto”, cui il religioso ha risposto dicendo che è “il tentativo di dare un segno di speranza. Perché aiuta a capire che si può vivere insieme”; sentendo queste parole, l’uomo “si è commosso”. Un esempio, un piccolo fatto raccontato ad AsiaNews da p. Alberto Joan Pari, frate minore della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, che testimonia il valore del gesto promosso ogni giovedì di Ramadan: la distribuzione di frutti e bottiglie di acqua all’esterno della porta di Damasco ai fedeli islamici che hanno da poco concluso la preghiera alla moschea di al-Aqsa. “Un iniziativa in atto da tempo - prosegue il religioso - ma, ancora di più quest’anno, voleva essere un segno di fiducia” in un contesto di guerra a Gaza e violenze (anche) confessionali.
A promuoverla i frati della Custodia, una sinagoga con cui collaborano da tempo e cristiani di lingua ebraica. L’ultimo giovedì, 4 aprile, erano presenti lo stesso p. Alberto, Ilana Nelson della Kehilat Zion Community e gli attivisti di Tag Meir. “Quest’anno - racconta il frate - avevamo molti dubbi se farla o meno, perché poteva sembrare all’apparenza un gesto provocatorio, ma abbiamo deciso di andare avanti. Tutti sono sembrati felici di ricevere questo gesto” di pace e riconciliazione.
P. Alberto Pari è nato a Manerbio, nel nord Italia, nel 1978 e ha alle spalle studi in sacra scrittura e archeologia biblica presso lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme. Membro della Custodia di Terra Santa, il religioso ha emesso la sua prima professione il 17 Settembre 2009 e quella solenne il 5 Ottobre 2013. È stato ordinato sacerdote il 29 Giugno 2015. Oltre a ricoprire l’incarico di segretario custodiale è cronista custodiale, professore presso lo Studium Theologicum Jerosolymitanum di ebraismo ed ebraico biblico, redattore degli atti della Custodia, direttore generale dell’Istituto Magnificat e responsabile delle relazioni con il mondo ebraico, oltre a essere incaricato del dialogo ecumenico e interreligioso.
Dopo il 7 ottobre, con l’attacco di Hamas al cuore di Israele, era forte “il timore che tutto fosse distrutto” in tema di dialogo, che “quello che era stato creato in anni di vicinanza” fosse perduto, spiega il religioso. “E per il primo mese - ricorda - è stato quasi impossibile incontrarsi e affrontare un qualsiasi argomento, poi piano piano abbiamo visto che ciò che era stato fatto era rimasto, perché fondato su solide radici”. Dallo studio della parola una volta al mese con la comunità ebraica al negozio di oggetti di seconda mano e articoli per la casa promosso da cristiani e musulmani, il cui ricavato veniva devoluto alternativamente a comunità ebraiche, cristiane o islamiche per promuovere feste o eventi. E ancora, i centri di raccolta per famiglie arabe che non erano più in grado di recarsi nella parte ebraica per i propri bisogni, sono “piccoli esempi di iniziative che si possono portare avanti - afferma il francescano - anche se ci vorranno anni per ricostruire”. Perché, avverte, “i danni sono equiparabili a quelli provocati da un terremoto”.
Egli ricorda come vi fossero “situazioni” già “delicate” prima del 7 ottobre, poi l’attacco terrorista di Hamas e la riposta militare israeliana col conflitto a Gaza hanno generato una situazione complessa e di “fragilità generale” di cui qualcuno “approfitta” per rivincite o vantaggi. Esempio ne è quanto sta avvenendo nel quartiere armeno, attorno alla contesa sui terreni conosciuti come “Giardino delle Vacche” e nel mirino dei coloni. “Nelle ultime settimane - aggiunge - abbiamo vissuto in un clima di normalità apparente, ma da giorni vi è una allerta altissima per la fine del Ramadan e le minacce dell’Iran. Ogni giorno viviamo le 24 ore sperando tutto vada bene”.
I giorni di Pasqua li descrive come “anomali senza pellegrini”, ma sono state celebrazioni “serene” e i cristiani locali ne hanno approfittato per “vivere i luoghi santi, che non erano affollati” rispetto al passato. Oggi fare qualcosa assieme cristiani, musulmani ed ebrei “è quasi impossibile” perché “è venuta meno una fiducia nell’altro”. Fra gli israeliani “vi è ancora poca consapevolezza di quanto sta avvenendo a Gaza e i media locali non aiutano”, mentre la popolazione “è ancora chiusa nel dolore, senza pensare alle ragioni di quanto è successo”. Ecco perché, conclude p. Alberto, “i cristiani, certo non ora che è impossibile ma in futuro, ricopriranno un ruolo decisivo come intermediari fra le parti. E lo avranno perché hanno il valore del perdono intrinseco nella loro fede. Ma in futuro… ora è molto difficile”.