Dalla Colombia al Bangladesh, sacerdote fidei donum scopre la gioia della missione
P. Ruben, associato PIME, è il primo sacerdote della sua diocesi a recarsi nel continente asiatico. Ad AsiaNews racconta le difficoltà della preparazione e del cambiamento, ma anche lo stupore di scoprire, attraverso l’amore e la dedizione ai poveri, che “è Dio che mi vuole in queste terre”.
Roma (AsiaNews) - Primo della sua diocesi ad intraprendere la missione in Asia, p. Ruben Dario Oquendo, è partito tre anni fa dalla Colombia per unirsi ai padri del PIME in Bangladesh, realtà a schiacciante maggioranza musulmana. Qui si è trovato ad affrontare ostacoli non solo culturali o linguistici, ma anche legati al territorio, come le frequenti alluvioni. P. Ruben, ha 38 anni; viene dall’arcidiocesi di Santa Fe di Antiochia, che di recente ha scelto di “donare”, per la prima volta, alcuni dei suoi 120 sacerdoti alla missione ad gentes. Di solito la Chiesa sudamericana tende a fare missione all’interno dei suoi confini, dove il bisogno è ancora molto e l’adattamento meno difficile. Ma nel 2003, rispondendo ad un invito del PIME, tre preti colombiani iniziano la loro formazione in vista dell’Asia. Tra loro anche p. Ruben.
Dopo più di un anno passato tra Roma e Filippine per studio, il padre colombiano è arrivato nel 2005 nella diocesi di Rajshahi, nel nord del Bangladesh. Qui lavora a fianco di p. Luigi Scuccato, PIME, da 60 anni in questo Paese. Il colombiano è impegnato nella sub-parrocchia di Lokikul, parte della più grande parrocchia di Beneedwar. In Bangladesh p. Ruben rimarrà altri 5 anni, ma ormai - come racconta ad AsiaNews - gli “scogli più grandi sono stati superati”. “Si tratta di un totale cambiamento di vita, che ha richiesto in più occasioni coraggio e determinazione per non soccombere alla difficoltà della lingua e al sentirsi di continuo straniero”.
Il sacerdote racconta che “solo grazie all’amore per la gente e a quello che ricevi di ritorno” si riescono a superare i momenti di sconforto. Come ad esempio può essere un’alluvione, fenomeno che colpisce in modo regolare e con forte intensità il Bangladesh, ma a cui non avevi mai assistito prima nella tua vita. “A volte sentivo di non farcela – ammette il sacerdote - di aver fatto la scelta sbagliata”. La lingua è uno degli ostacoli più grandi: “Dopo cinque mesi di studio ancora non riesci a parlare bene il bengali, ma superati i nove mesi ne arrivi ad apprezzare anche la bellezza”.
Beneedwar conta di quattro villaggi cristiani e altri 34 per lo più indù. Nella parrocchia è attiva una scuola statale serale, dove studiano soprattutto donne. Padre Ruben, quasi ogni sera, passa a trovarle “solo per parlare, per dare loro un sostegno psicologico”. “Mi accolgono con gioia e sono felici: hanno molto coraggio e determinazione, lo fanno perché hanno voglia di progredire e imparare”. Ed è lo stesso desiderio dei bambini e dei giovani qui: “I ragazzi vogliono trovare un altro modo di lavorare, diverso da quello tradizionale nelle piantagioni di riso, per questo vogliono studiare ad ogni costo”. Anche la Chiesa è impegnata in modo concreto sul fronte dell’istruzione e gestisce alcune scuole tecniche.
“Quello che attira nell’Annuncio dei missionari in queste terre - nota il ‘fidei donum’ colombiano - è l’amore gratuito verso tutti e la totale dedizione al loro lavoro”. L’Asia è uno dei continenti più poveri e il Bangladesh uno dei suoi Paesi più prostrati, “per questo la gente rimane fortemente colpita dalla testimonianza dei missionari, che danno tutto gratuitamente. È partendo da questo tipo di stupore che poi si inizia a cercare la Chiesa”.
Le differenze tra Colombia e Bangladesh sono enormi, ma esse non impediscono uno scambio e un arricchimento tra le due realtà. Il sacerdote racconta che in Colombia esistono problemi molto forti come quello della prostituzione e del narcotraffico, diffusi sopratutto nelle grandi città. “Lavorare in questi campi è pericoloso, ma i sacerdoti colombiani sono coraggiosi e forti. Questa forza mi ha anche aiutato nella decisione di partire per Paesi difficili come quelli asiatici a maggioranza musulmana”. Ma lo scambio è in due direzioni. “Al ritorno a casa - conclude - mi auguro di riportare in Colombia l’esempio dei missionari a cui a mio avviso dovrebbero attingere anche molti sacerdoti diocesani".
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