Dalit indù contro la parità di diritti a cristiani e musulmani
di Nirmala Carvalho
Parte oggi una campagna nazionale contro l’intenzione del governo centrale di concedere i privilegi delle Scheduled Castes anche a cristiani e musulmani, unici gruppi ancora esclusi. Secondo i nazionalisti indù si tratta di una manovra elettorale, ma la Chiesa ricorda: se l’India vuole progredire, sviluppo economico e oppressione sociale non possono coesistere.
Mumbai (AsiaNews) – Una campagna nazionale di protesta contro l’intenzione del governo centrale di riconoscere anche ai dalit cristiani e musulmani i privilegi previsti dallo status di Scheduled Castes (SC). È l’iniziativa lanciata oggi dal presidente della All India SC Reservation Protection Forum, Vijay Sonkar Sastri. Secondo questo ex deputato del partito nazionalista d’opposizione Bharatya Janata Party (Bjp), dare gli stessi diritti a tutti i fuori casta al di là dell’appartenenza religiosa priverà indù, sikh, giainisti e buddisti delle loro quote riservate nel campo professionale e dell’istruzione. “Si tratta - ha spiegato Sastri - di un provvedimento che incoraggerebbe conversioni di massa al cristianesimo e all’islam e che mira solo a guadagnare voti in queste categorie sociali in vista delle prossime elezioni”.
La campagna indetta da Sastri prevede per oggi una grande marcia a New Delhi, un incontro a Kochi, nello Stato meridionale del Kerala, e una petizione indirizzata al premier indiano perché cancelli l’idea di valutare l’introduzione di cristiani e musulmani nelle SC.
In India, secondo quanto stabilito dal paragrafo 3 dell’Order Act sulle Scheduled Castes del 1950, i benefici concessi alle SC sono riservati ai soli dalit indù; in un secondo tempo sono stati aggiunti anche buddisti e sikh. Solo cristiani e islamici rimangono ancora esclusi.
La Chiesa indiana è da tempo in prima linea nella battaglia per la parità di diritti di tutti i fuori casta. Secondo p. Cosmon - segretario esecutivo della Commissione per Scheduled Castes/Tribes and Backward Class (SC/ST and BC) della Conferenza episcopale indiana – i gruppi che continuano ad opporsi “vogliono solo impedire lo sviluppo economico e sociale dei cristiani e dei musulmani e privarli della loro dignità umana”. Il sacerdote spiega che i nazionalisti portano sempre la stessa giustificazione al loro risentimento per i cristiani: le conversioni forzate. “Ma se fosse vero – aggiunge – come spiegare che la percentuale dei cristiani nel Paese è ferma al 2,5 per cento?”. “Lo sviluppo economico e l’oppressione sociale non possono convivere – conclude p. Cosmon – escludere una fetta della società dal processo di sviluppo dell’India, solo a causa della sua fede, rappresenta una violazione dei diritti umani, un ostacolo al progresso e una vergogna e per tutta la nazione”.
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