Dalai Lama “preoccupato” per la violenza in Tibet, frutto della repressione cinese
Il leader spirituale del buddismo tibetano e capo del governo in esilio invita i manifestanti a non ricorrere alla violenza e chiede a Pechino di rispondere “con il dialogo” alle richieste di chi protesta. Secondo fonti non confermate, negli scontri sarebbero morte 10 persone.
Dharamsala (AsiaNews) – Il Dalai Lama “è profondamente preoccupato per quello che sta succedendo in queste ore in molte parti del Tibet, inclusa Lhasa. Secondo la nostra guida spirituale, queste proteste sono una manifestazione del profondo risentimento del popolo tibetano nei confronti dell’attuale governo”.
Lo dice ad AsiaNews Thubetn Samphel, portavoce del governo tibetano in esilio, commentando gli sviluppi degli scontri che in questi giorni si verificano nei pressi dei maggiori monasteri del Tibet. Secondo fonti locali, l’esercito cinese ha inviato i carri armati nel centro della capitale: agenti in tenuta anti-sommossa hanno sfollato i manifestanti, guidati dai monaci, e secondo alcuni avrebbero sparato “diversi colpi di arma da fuoco”. Alcuni turisti americani parlano di "spari sentiti a Lhasa" e altre voci non confermate affermano che vi stati 10 morti negli scontri. Nel frattempo, bruciano diversi edifici nella parte antica di Lhasa.
Il Dalai Lama, riprende Samphel, “ha sempre detto, e ripete in questa occasione, che l’unità e la stabilità ottenute con la forza bruta sono soltanto, nel migliore dei casi, una soluzione temporanea. Non è realistico aspettarsi l’unità e la stabilità con un governo del genere: non è la strada verso una soluzione della situazione tibetana”.
Il leader buddista “si appella alla leadership cinese, affinché smetta di usare la forza e risponda con il dialogo al risentimento dei tibetani. Il Dalai Lama invita inoltre tutti i manifestanti a non ricorrere alla violenza. Da parte nostra, come governo in esilio, ricordiamo che tutto è nato da una protesta pacifica e ci appelliamo alla comunità internazionale affinché interceda presso Pechino per interrompere immediatamente questa violenta repressione, che nasce dal soffocamento dei diritti del popolo tibetano”.
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