Da Kemal Ataturk a Erdogan. La Turchia al voto il 12 giugno
Istanbul (AsiaNews) – La Turchia si accinge a recarsi, il 12 giugno 2011, a votare alle elezioni politiche più importanti della sua storia moderna. Elezioni proclamate sulla scia del referendum del 12 settembre 2010, indetto per cambiare la costituzione turca scaturita dal golpe militare del 1980. Il referendum, proclamato da Erdogan, ha visto trionfare, con il 58%, la volontà popolare turca per i cambiamenti. E bisogna sottolineare che sarà anche la prima volta, nella storia della vita repubblicana turca, che una costituzione sarà frutto di espressione popolare e non imposta dai militari; compresa la costituzione promulgata da Kemal Ataturk.
Promotore di questi cambiamenti è stato il partito Akp, islamico-religioso, al potere dal 2002, il cui indiscusso leader è Tayyip Erdogan. I sondaggi danno il suo partito Akp come vincitore, con una percentuale variabile fra il 46-50%; subito dopo viene il Chp (partito fondato da Kemal Ataurk) stimato fra il 27-29%; poi il Mhp (partito nazionalista religioso) che i sondaggi collocano fra il 10.5-11.5%. Infine circa 27 deputati saranno eletti come indipendenti; questi sono generalmente di origine curda.
Al di là dai sondaggi, è necessario fare alcune considerazioni.
La prossima riconferma di Erdogan non è casuale. Erdogan è riuscito ad esprimere, e a far emergere in maniera preponderante la concezione religiosa della società turca (attenzione: non fondamentalista), a lungo controllata ed emarginata dall’establishment laico militare kemalista. Grazie al golpe del 1980 è stato permesso a questa concezione religiosa di riapparire, come antidoto ad una possibile pericolosa “deriva” a sinistra di alcuni settori della società turca. Padre putativo di questa rinascita è stato Turgut Ozal (di origine curda) primo ministro e poi presidente della Turchia negli anni 80.
Erdogan, fondatore del partito Akp, sfruttando abilmente lo strumento dell’approccio all’Europa, intrapreso dal vecchio establishment (per la verità un approccio piuttosto virtuale e di facciata), è riuscito dopo ripetuti scontri con il vecchio establishment, guidato dall‘esercito turco, dall’alta magistratura e dalla burocrazia, a porre in quarantena i militari. Addirittura ha messo in carcere 163 di loro, in seguito ai casi “Ergenekon”, la cosiddetta “Gladio” turca e Bayloz.
Allo stesso tempo ha proceduto ad una certa democratizzazione della società turca, con la concessione di diritti alle minoranze impensabili prima d’ora; ma soprattutto è riuscito a dare carne ed ossa alla nuova classe medio borghese e imprenditrice molto intraprendente, di origine anatolica e di estrazione religiosa (sino ad allora latente), come risposta alla vecchia, ristretta classe borghese economica elitaria, che per la verità è stata inventata dal regime kemalista e per questo ad esso legata con un filo ombelicale.
Insomma Erdogan ha dato avvio a quelle riforme socio-economiche che mai nessun altro aveva osato prima di Kemal Ataturk, collocando la Turchia tra i Paesi emergenti, un Paese che, con il nulla-osta di Obama, è indicato come modello da imitare nello scacchiere medio orientale-anatolico. E questo anche se in politica estera Erdogan si è differenziato dal vecchio establishment kemalista, prendendo le distanze dagli Usa e da Israele, giudicati colpevoli di aver appoggiato la nascita di un Kurdistan nel Nord del Iraq.
Il peggior nemico di Tayyip Erdogan è la sua arroganza; espressa d’altronde da un enorme manifesto elettorale, di cui è tappezzata tutta la Turchia. A fianco della sua foto campeggia lo slogan "Hazil Hedef 2023" (“Il nostro fine è il 2023”). Insomma 100 anni dalla instaurazione della Repubblica da parte di Kemal Ataturk.