Cristiani libanesi nel groviglio delle elezioni parlamentari del 7 giugno
di Fady Noun
I cristiani si mostrano divisi e dispersi per l'appuntamento di domenica quando si voterà per eleggere i 128 deputati del parlamento. A contendersi i seggi vi sono i due grandi schieramenti in cui è diviso il Paese: il fronte anti-siriano e il movimento di Hezbollah, vicino a Damasco. A falsare l’esito delle elezioni il rischio concreto di compravendita dei voti.
Beirut (AsiaNews) – Sotto l’occhio vigile degli osservatori europei, americani (Fondazione Carter) e francofoni, senza contare le Organizzazioni non governative locali, il prossimo 7 giugno in Libano si terrà una tornata elettorale di fondamentale importanza. Al voto 3,1 milioni di elettori – suddivisi fra musulmani e cristiani in un rapporto percentuale di 60 e 40 circa – chiamati a scegliere 128 deputati che costituiscono il parlamento libanese.
Grosso modo, siamo in presenza di due diverse alleanze. La prima unisce il Libano all’Occidente, agli Stati Uniti e all’Europa in testa, così come al mondo arabo che gravita nella loro orbita; a grandi linee il mondo arabo sunnita, soprattutto l’Egitto e l’Arabia Saudita, ma senza esclusioni.
L’altra lega il Libano alla Siria e all’Iran: alla Siria, che mantiene rapporti ambigui con il Libano malgrado lo scambio di ambasciatori tardivo e forzato, che dà l’illusione che qualcosa sia cambiato; all’Iran, che si erge contro l’imperialismo degli Stati Uniti – il Grande Satana – ma le cui ambizioni e l’espansionismo ideologico lo collocano in una posizione in cui esso stesso si trasforma in una nuova forma di imperialismo, a causa di una organizzazione piramidale dell’autorità al vertice della quale siede un “Wali”, un vicario di Dio al quale spettano le grandi decisioni temporali e spirituali.
Dove si trova l’interesse dei libanesi? Hanno interesse a inserirsi in una “alleanza regionale delle minoranze” – sciite, alawite, cristiane – dove le forze di queste tre comunità sono unite di fronte al mare sunnita (che costituisce il 90% circa dei musulmani)?
Oppure devono, al contrario, restare neutrali di fronte a questo asse, fedeli alla loro apertura verso l’Occidente e continuare a essere ciò che sono, il corridoio di trasmissione culturale tra il mondo arabo e una cultura occidentale a cui partecipano per le loro radici cristiane, fondamento della modernità, qualsiasi cosa si faccia o si dica?
Mettendo da parte la logica dei numeri, la Chiesa maronita, da parte sua, ha deciso per quest’ultima opzione, così come le forze antisiriane del 14 marzo. Michel Aoun, Hezbollah e gli altri gruppi che formano il cosiddetto fronte dell’8 marzo filo-siriano si inseriscono in un’ottica diametralmente opposta e si sono dichiarate favorevoli a una alleanza delle minoranze, una scelta strategica che va oltre il quadro libanese. Con l’elezione di Michel Sleiman a capo di Stato, un anno fa, è apparsa sulla scena politica una “terza forza” che è riuscita, sinora, a mantenere il suo carattere di consenso.
Tra qualche giorno, l’elettorato libanese dirà in quale direzione è orientata la propria sensibilità e la sua scelta. Ma gli azzardi della storia fanno sì che sarà l’elettorato cristiano a segnare il tratto distintivo.
In effetti, sui 128 seggi di cui è composto il parlamento libanese, e che sono suddivisi in parti uguali fra musulmani e cristiani, cento sono praticamente prestabiliti, nel senso che la suddivisione delle circoscrizioni, il numero degli elettori e la loro appartenenza confessionale determina in anticipo, con un margine di errore quasi nullo, l’identità politica dei deputati che li otterranno.
Peraltro, i sondaggi prevedono che l’assegnazione di 18 dei restanti 28 scranni parlamentari è “molto prevedibile”. In conclusione: i seggi in ballottaggio sono nell’ordine di 10 posti, la maggior parte dei quali verranno contesi da candidati cristiani che si alternano in un fronte o nell’altro, e in alcuni casi appartenenti al movimento centrista minoritario, vicino al capo di Stato.
Tanto più che la maggioranza che emergerà sarà risicata e non permetterà davvero a chi la conquisterà di poter governare da solo. La vittoria di una fazione o dell’altra sarà essenzialmente psicologica, nella misura in cui essa farà risultare chiaramente in quale settore si situa la maggioranza dei cristiani dei Libano… e la maggioranza del Paese.
I libanesi votano in piena libertà? La risposta a questa domanda è affermativa. L’accesso alle urne, le cabine elettorali sono sicure. Ma la scelta dei libanesi è davvero libera? In questo caso i contorni della risposta si fanno più sfumati. Diversi fattori falsano, in realtà, la libertà di scelta degli elettori. In primis, la demonizzazione a oltranza dell’avversario e un uso smodato dei media, che fanno degli uni i valletti dell’Occidente e quasi alla stregua di traditori, degli altri i pupazzetti nelle mani dei due “Stati canaglia”.
L’unico che sembra riuscire a mantenere un equilibrio tra questi due poli antagonisti è il capo di Stato, che prende in prestito i suoi principi ispiratori dai due diversi progetti politici con una serenità che lascia stupiti.
Vi è poi un ulteriore elemento che falsa la scelta dei libanesi: la compravendita del voto. Se la legge elettorale prevede un tetto di spesa, massicci investimenti sono stati usati nella battaglia elettorale dagli uni e dagli altri. Ma il soffocamento di questi contributi illegali, che riguardano sia i candidati che gli elettori, resta problematico, finché lo Stato non assicurerà il pieno rispetto della legge da parte di tutti. E cioè fino a quando l’esistenza di Hezbollah e delle sue fonti di finanziamento occulte (che non transitano nei canali bancari tradizionali) e la presenza di un perimetro di sicurezza inaccessibile per le forze dell’ordine libanesi, qualsiasi sia la ragione invocata a giustificazione – per esempio il bisogno di sicurezza del fronte di resistenza – impediscono questa trasparenza e servono da facile pretesto agli altri partiti.
Ieri il patriarcato maronita ha lanciato un appello ai libanesi, e ai Maroniti in particolare, chiedendo loro di votare secondo coscienza, e di non lasciarsi condizionare nella loro scelta dal voto di scambio. Ma considerato lo stato attuale delle cose, ci vorrà una grande capacità di chiaroveggenza per scegliere in maniera davvero libera il 7 giugno.
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