26/01/2006, 00.00
palestina
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Cristiani in ansia per la vittoria di Hamas

di Abu Mahmud

Preoccupazione diffusa, anche se non va dato per certo il peggioramento dele condizioni dei cristiani. Ora, secondo padre Jaeger, le autorità ecclesiastiche potranno cercare la riconferma dell'"Accordo di base" del 15 febbraio 2000 tra Santa Sede e Olp che garantisce libertà religiosa, salvaguardia dei diritti acquisiti alla Chiesa e tutela dei Luoghi Santi.

Betlemme (AsiaNews) – "Un disastro, questa vittoria di Hamas è un disastro per i cristiani!" dice concitato K.M., cristiano palestinese di Betlemme nell'assistere al procedere dello spoglio delle schede da dove emerge che Hamas ha guadagnato già 77 seggi su 132 al parlamento palestinese nelle elezioni svoltesi ieri,25 gennaio.

Anche se visti con occhio più sereno, i risultati riportati da Hamas alle elezioni palestinesi non sono certe notizia confortante per i palestinesi di religione cristiana. Hamas è un movimento teocratico che si oppone per sua stessa natura al nazionalismo arabo laico che dal secolo XIX rappresentava la miglior speranza concreta per i cristiani di poter essere cittadini eguali nei Paesi arabi.

" L'Autorità Palestinese (ANP) e Fatah – afferma ancora K.M. - hanno ricevuto il pagamento per la loro incapacità e la loro corruzione, ma per noi tutto diventa pericoloso. Hamas – spiega - è un movimento fondamentalista: avendo la maggioranza assoluta potranno varare qualunque legge. Ora ci aspettiamo che emettano leggi ispirate alla Sharia. Alcuni hanno già promesso che ci metteranno ancora le tasse sui cristiani, come era nei tempi antichi".

Ora i cittadini palestinesi cristiani potrebbero essere motivati dalle nuove preoccupazioni ad una militanza più decisa nei partiti laici, nell'attesa di poter dare un apporto alla rinascita degli schieramenti laici nella politica palestinese in vista di future elezioni, e in contemporanea potranno aumentare altresì la propria partecipazione alle organizzazioni della "società civile". Quanto alle Autorità ecclesiastiche, queste potranno cercare quanto prima la riconferma del valore dell'"Accordo di base" firmato il 15 febbraio 2000 dalla Santa Sede con l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). Hamas non è stato storicamente membro dell'Olp, ma - come ricorda ad AsiaNews l'esperto di rapporti Chiesa-Stato in Terra Santa, il francescano padre David-Maria A. Jaeger -  "l'Olp ha firmato l'Accordo precisamente 'a nome e per il beneficio' dell'Autorità palestinese, per cui si deve ritenere che quest'ultima ne rimane vincolata, anche qualora sia governata, in tutto o in parte, da chi dell'Olp non faceva parte". L'Accordo garantisce, tra l'altro, la libertà religiosa, la salvaguardia dei diritti acquisiti alla Chiesa, e la tutela dei Luoghi Santi.

Ma per K.M. "il futuro ancora non è chiaro. Stati Uniti e Israele hanno detto che non accetteranno Hamas come partner nei colloqui di pace futuri, ma secondo le regole democratiche, Hamas è stato eletto perché voluto dalla popolazione. E dopo aver predicato la diffusione della democrazia in Medio Oriente, gli americani non possono rimangiarsi le loro stesse parole".

In effetti, il risultato delle elezioni palestinesi dovrà far riflettere di nuovo sulla linea seguita da molti in Occidente negli ultimi tempi a favore della rapida democratizzazione delle comunità politiche del Vicino Oriente, senza badare molto alle condizioni sociali, economiche e culturali sul territorio. Se la democrazia debba significare molto più del semplice elemento elettorale, si deve ricordare che essa - la democrazia liberale, laica, si è storicamente realizzata qualora i ceti medi, istruiti, economicamente agiati e avidi di libertà civili, abbiano raggiunto "massa critica" nella società. Non è il caso dei territori palestinesi, come non è il caso dell'Iraq, e come non era il caso dell'Algeria (all'inizio degli anni '90). E certamente la democrazia liberale non è storicamente fiorita in territori soggetti al governo altrui mediante un regime giuridico di "occupazione belligerante" ("belligerent occupation"), come quello che vige nei territori palestinesi sin dal 1967.

 "Il rischio – insiste K.M. -  per noi è reale. A Betlemme vi sono due deputati di Fatah e due di Hamas; uno di Fatah è cristiano protestante. Un altro degli eletti è uno sheikh islamico fondamentalista che ogni tanto predica contro la presenza dei cristiani in Palestina. Cosa resta ai cristiani? Forse molti penseranno di emigrare, svuotando ancora di più la Terra Santa".

In realtà, secondo alcune osservatori, non si può dare per scontato che le concrete condizioni di vita dei palestinesi cristiani dovranno peggiorare. In gran parte queste sono influenzate più dalla situazione generale nei territori occupati, condivisa con la maggioranza musulmana, che dalle istituzioni semi-autonome dell'Autorità palestinese. E quanto a quest'ultima, c'è forse la possibilità che il carattere molto più disciplinato delle formazioni di Hamas giovi a porre fine alla "fauda", ossia all'anarchia diffusa, per la quale soprattutto hanno sofferto i cristiani di Betlemme e altrove. E' chiaro però che questi risultati elettorali rendono ancor più urgente la necessità di un trattato di pace tra Israele e Palestina, elaborato in seno ad una conferenza internazionale di pace, che si dovrà occupare di assicurare che la futura costituzione palestinese, e l'effettiva gestione della cosa pubblica, siano fondate sulla garanzia dei diritti umani e civili.

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