Cristiani e musulmani contro la povertà per eliminare ingiustizie e violenza
Nel messaggio che il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso invia ai musulmani per la fine del Ramadan si propone un “codice etico comune” per la lotta all’indigenza. Il dialogo mobiliti le forze vive di quanti sono in cammino verso Dio. “Il povero ci interpella, ci sfida, ma soprattutto ci invita a collaborare per una nobile causa: quella di vincere la sua povertà!”.
Città del Vaticano (AsiaNews) - La povertà - causa di “sofferenze intollerabili” e talvolta di “fenomeni di estremismo e di violenza” giustificati da una “pretesa ‘giustizia divina’” - ha la sua origine fondamentale “nella mancanza di rispetto della dignità innata della persona umana e ci chiama ad una solidarietà globale, per esempio attraverso l’adozione di un ‘codice etico comune’, le cui norme non avrebbero solamente un carattere convenzionale, ma sarebbero radicate nella legge naturale iscritta dal Creatore nella coscienza di ogni essere umano”.
La possibilità che i credenti collaborino per vincere la povertà è l’idea centrale del messaggio augurale che il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso rivolge quest’anno ai musulmani in occasione della fine del Ramadan (‘Id al-Fitr 1430 H. / 2009 A.D.), intitolato "Cristiani e Musulmani: insieme per vincere la povertà".
Il documento, reso noto oggi – che porta la firma del del presidente del Pontificio consiglio, card. Jean-Louis Tauran e del segretario mons. Pier Luigi Celata - parte dall’affermazione che “la persona umana che versa in situazione di indigenza è indiscutibilmente al centro di precetti che, a titoli diversi, ci sono cari. L’attenzione, la compassione e l’aiuto che tutti, fratelli e sorelle in umanità, possiamo offrire a colui che è povero per ridargli il suo posto nella società degli uomini, è una prova vivente dell’Amore dell’Altissimo, poiché è l’uomo in quanto tale che Egli ci chiama ad amare e ad aiutare, senza distinzione di appartenenza. Sappiamo tutti – si legge ancora nel messaggio - che la povertà umilia e genera sofferenze intollerabili; esse sono spesso all’origine di isolamento, di ira, addirittura di odio e di desiderio di vendetta. Ciò potrebbe spingere ad azioni di ostilità con tutti i mezzi disponibili, cercando di giustificarli anche con considerazioni di ordine religioso: impossessarsi, in nome di una pretesa ‘giustizia divina’, della ricchezza dell’altro, ivi compresa la sua pace e sicurezza. È per questo che respingere i fenomeni di estremismo e di violenza esige necessariamente la lotta contro la povertà attraverso la promozione di uno sviluppo umano integrale, che il Papa Paolo VI definì come ‘il nuovo nome della pace’ (Lettera Enciclica Populorum Progressio, 1975, n. 76)”.
Recentamente, nella “Caritas in Veritate” Benedetto XVI, “tenendo conto del contesto attuale dell’impegno in favore dello sviluppo, mette in luce, tra l’altro, la necessità di una ‘nuova sintesi umanistica’ (n. 21) che, salvaguardando l’apertura dell’uomo a Dio, lo ricollochi ‘al centro e al vertice di tutto quanto esiste sulla terra’ (n. 57). Un autentico sviluppo, pertanto, non potrà non essere ordinato a ‘tutto l’uomo ed a tutti gli uomini’ (Populorum Progressio, n. 42)”.
“Nella sua omelia del 1° gennaio scorso, in occasione della Giornata Mondiale della Pace 2009, il Papa Benedetto XVI, distingueva tra due tipi di povertà: una povertà da combattere ed una povertà da abbracciare. La povertà da combattere è sotto gli occhi di tutti: la fame, la mancanza di acqua potabile, la scarsità di cure mediche e di alloggi adeguati, la carenza di sistemi educativi e culturali, l’analfabetismo, senza peraltro tacere dell’esistenza di nuove forme di povertà ‘come ad esempio nelle società ricche e progredite, … fenomeni di emarginazione, di povertà relazionale, morale e spirituale’ (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2009, n. 2). La povertà da scegliere è quella che invita a condurre uno stile di vita semplice ed essenziale, che evita lo spreco, rispetta l’ambiente e tutti i beni della Creazione. Questa povertà è anche quella, almeno durante certi periodi dell’anno, della frugalità e del digiuno. La povertà scelta predispone ad uscire da noi stessi e dilata il cuore”.
“Come credenti, desiderare la concertazione per cercare insieme soluzioni giuste e durature al flagello della povertà significa anche riflettere sui gravi problemi del nostro tempo e, quando è possibile, impegnarsi insieme per trovare una risposta. É necessario, in questo, che il riferimento agli aspetti della povertà legati alla globalizzazione delle nostre società rivesta un senso spirituale e morale, poiché condividiamo la vocazione a costruire una sola famiglia umana nella quale tutti – individui, popoli e nazioni – regolano i loro comportamenti secondo i principi di fraternità e responsabilità”.
“Uno sguardo attento sul complesso fenomeno della povertà ci conduce a vederne fondamentalmente l’origine nella mancanza di rispetto della dignità innata della persona umana e ci chiama ad una solidarietà globale, per esempio attraverso l’adozione di un ‘codice etico comune’ (Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontifica Accademia delle Scienze Sociali, 27 aprile 2001, n. 4) – le cui norme non avrebbero solamente un carattere convenzionale, ma sarebbero radicate nella legge naturale iscritta dal Creatore nella coscienza di ogni essere umano (cf. Rm 2, 14-15).
“Sembra che in diversi luoghi del mondo siamo passati dalla tolleranza all’incontro, a partire da un vissuto comune e da preoccupazioni condivise. Questo è già un importante traguardo che è stato raggiunto. Mettendo a disposizione di tutti la ricchezza che scaturisce dalla preghiera, dal digiuno e dalla carità degli uni e degli altri, non è forse possibile che il dialogo mobiliti le forze vive di quanti sono in cammino verso Dio? Il povero ci interpella, ci sfida, ma soprattutto ci invita a collaborare per una nobile causa: quella di vincere la sua povertà!”.
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