Cristiani di Mosul, la luce della Resurrezione nel Calvario della guerra
Messaggio pasquale del vescovo di Mosul: "Impariamo da Gesù, facciamo in modo che terrorismo e morte non abbiano l'ultima parola". Sacerdote locale racconta la preparazione alla Pasqua: chiese gremite, i giovani vanno a messa nonostante i divieti dei genitori. Liturgia abbreviata nella Settimana Santa per limitare il rischio attentati.
Mosul (AsiaNews) A Mosul, teatro di rapimenti, sgozzamenti e violenze perpetrate dai ribelli sunniti e bande criminali, i cristiani vivono sotto continue minacce. Ma se il passaggio dalla vita alla morte è il senso della Pasqua in tutto il mondo, la certezza della Resurrezione è il marchio della vita dei cristiani irakeni che sembrano ricalcare lo stesso cammino di Gesù. "Abbiamo attraversato il 2004, il nostro Calvario, tra dolori e distruzione, ma c'è ancora vita, non siamo fuggiti, siamo ancora qui, perché siamo certi della Resurrezione". Padre Ragheed Ganni, segretario del vescovo di Mosul - nord Iraq - racconta ad AsiaNews il significato del sacrificio di Cristo in una città martoriata dalla guerra, dove la Croce delle violenze quotidiane non impedisce ai cristiani di continuare a testimoniare eroicamente la loro fede.
Il sacerdote spiega che oggi più che mai seguire l'esempio di Gesù è una necessità non solo per i cristiani ma anche per tutti gli iracheni. Lo afferma anche il vescovo caldeo di Mosul, mons. Paulos Faraj Rahho, che nel messaggio pasquale di quest'anno invita a cogliere attraverso l'odio, la paura e le bombe l'autentico significato della Resurrezione: "Assassini, terrorismo e paura non devono avere l'ultima parola in Iraq. Come Cristo ha vinto la tomba e la morte, ciò che alla fine deve trionfare è la Vita e l'Amore".
Secondo il sacerdote 33enne, il popolo iracheno in questo momento è simile a quello d'Israele, che "ha attraversato il Mar Rosso della guerra lasciandosi alle spalle la schiavitù, per dirigersi verso una nuova vita, piena di speranza". La conferma è la forte presenza di fedeli alle funzioni di questa Quaresima. P. Ragheed racconta che tutti i venerdì la chiesa di San Paolo, vicino al vescovado distrutto dalle 2 bombe del 7 dicembre 2004, era "piena di gente che partecipava alla Via Crucis". "Il fatto che nelle chiese ci sia lo stesso numero di fedeli dell'anno scorso è già un segnale positivo". Il sacerdote non nega, comunque, che ci sia paura tra la gente. "Noi stessi cerchiamo di celebrare messe più brevi per limitare il rischio di attacchi e anche nella Settimana Santa la liturgia sarà abbreviata".
Il prete racconta che la Domenica delle Palme è stata un'eccezione: "Nella mia parrocchia, la chiesa dello Spirito Santo, abbiamo celebrato una messa andata avanti per ore. Incoraggiati dalla grande affluenza dei fedeli, tutti avevano un gran bisogno di poter pregare".
La Settima Santa, però, procede con cautele e precauzioni. "Ci regoliamo giorno per giorno in base a quanto succede quotidianamente. Per le celebrazioni serali cercheremo di farle terminare prima del tramonto, quelle mattutine, invece, inizieranno sempre dopo le 8.30". P. Ragheed aggiunge che in diverse parrocchie della città prima della Veglia di sabato saranno celebrati anche alcuni battesimi.
A Mosul, i rapimenti, le minacce di morte, il pagamento dei riscatti costituiscono una vera e propria industria. "I cristiani, essendo una delle categoria più ricche spiega - sono nel mirino di gruppi intenzionati a rapirli in cambio di ingenti riscatti".
Tutto questo però non sembra spaventare la comunità dei fedeli. Il segno di speranza più forte arriva dal "coraggio dei giovani". "Continuano a venire in chiesa nonostante i divieti dei genitori, preoccupati per la sicurezza". "Quelli più forti - racconta - cercano di dare coraggio agli altri. Nella chiesa di San Paolo, 2 volte a settimana, hanno organizzato incontri di preghiera e riflessione su temi proposti da loro stessi, come il digiuno, la preghiera".
Anche il volontariato a Mosul è atto eroico. "I ragazzi ha detto il sacerdote si offrono spontaneamente per fare servizio d'ordine fuori dalle chiese durante la messa, che dopo l'attentato continuiamo a celebrare in un salone sottostante il vescovado". P. Ragheed spiega che, partecipando alla vita della parrocchia, i giovani "si sentono parte del mondo" e non isolati nella loro sofferenza. "In molti dice desiderano andare alla Giornata mondiale della Gioventù a Colonia".
Le giovani coppie sono un altro segnale della fiducia dei cristiani in un futuro migliore: "Ultimamente celebro due, tre matrimoni al mese e queste coppie sono la prova che la vita continua, che c'è speranza di poter costruire qualcosa di buono".
Dopo 7 anni di studio in Italia, l'anno scorso p. Ragheed è tornato volontariamente in Iraq per stare vicino ai suoi fedeli durante la guerra. Il 7 dicembre 2004 ha assistito all'attacco dinamitardo al vescovado di Mosul, eppure continua ad essere testimone di una fede senza paura. "La forza che viene da Dio - dice - non si può spiegare" e allora si affida alle parole di San Paolo: "Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte" (2 Cor. 12, 10).
La diocesi cattolica caldea di Mosul, guidata da mons. Paulos Faraj Raho, conta 35 mila fedeli e 12 parrocchie. I preti diocesani sono 22, 8 i religiosi e 20 le religiose. La parrocchia di San Paolo comprende 750 famiglie, quella dello Spirito Santo circa 900.