Crisi nucleare, allerta per l’acqua di Tokyo
Proprio nel distretto, ovviamente il più colpito, le autorità hanno invitato la popolazione a evitare vegetali freschi di 11 specie, che potrebbero essere contaminati dalla nube. E nel reattore 3 si è alzata una nuova nuvola nera che ha costretto i dirigenti della centrale a ordinare l’evacuazione di tutti i lavoratori presenti.
Gli unici al lavoro sono gli ingegneri, che stanno cercando in tutti i modi di raffreddare i reattori ed evitare così una nuova emissioni di radiazioni: le centrali, che si sono incendiate dopo il terremoto e lo tsunami che hanno colpito la costa nipponica quasi due settimane fa, sono ancora in stato di massima allerta.
Il governo centrale ha anche ordinato di fermare l’invio di generi alimentari dalla zona. Yukio Edano, ministro del Commercio, ha spiegato che “non ci sono rischi immediati per la salute, ma bisogna evitare il più possibile di ingerire questi cibi. Si tratta di una decisione logica e di natura logistica”.
Nel frattempo aumenta ancora il numero delle vittime accertate. I cadaveri riconosciuti sono saliti a 9.408, mentre i dispersi sono 14.700. E le autorità disperano di poter dare “buone notizie” riguardo queste persone. Oltre mezzo milione di giapponesi ha perso la casa, e altri 300mila sono ospitati in centri di prima accoglienza. Secondo Tokyo, occorreranno più o meno 309 miliardi di dollari per ricostruire il Paese.
La comunità internazionale e le associazioni religiose di tutto il mondo si sono dette disponibili all’invio immediato di generi di prima necessità, e hanno confermato l’impegno a contribuire alla ricostruzione economica del Paese. Il governo giapponese, però, ha chiesto a tutti di aspettare e di passare per le autorità centrali prima di fare alcunché. La somma delle donazioni, per ora ancora nelle casse estere, ammonta a 11 miliardi di dollari.
Nonostante le difficoltà di collegamento, le parrocchie continuano il loro lavoro di solidarietà fra i sopravissuti.
P. David Uribe dei missionari di Guadalupe sottolinea che la situazione nei rifugi è grave soprattutto per donne e bambini. Nella diocesi di Sendai, le madri preferiscono far dormire i propri figli in macchina per non disturbare gli altri rifugiati, ma anche per evitare il contagio di malattie. I responsabili della diocesi stanno tentando di trasferire donne con figli piccoli nei conventi, ma al momento le autorità impediscono qualsiasi movimento nell’area per ragioni di sicurezza.
Oggi la diocesi di Saitama (30 km a est di Tokyo) ha iniziato ha reclutare infermieri e medici da inviare nelle aree colpite dallo tsunami e nei giorni scorsi ha aperto un centro per coordinare le altre realtà di solidarietà sorte nella diocesi di Sendai. Un primo gruppo di volontari è partito lo scorso 19 marzo per Sendai e ora sta lavorando nella parrocchia di Shiogama. La diocesi ha aperto altri tre centri analoghi nelle città di Mito, Kashima e Hitachi, dove ha inviato 10 seminaristi e alcuni diaconi.