Crimea: Mosca e Kiev litigano per gas e acqua
I servizi di sicurezza russi accusano gli ucraini di aver sabotato le conduttore del gas nei pressi di Simferopoli. Arrestati attivisti tatari. I russi lanciano piani per dissalare l’acqua e garantire forniture idriche alla popolazione. Kiev vuole riprendersi la penisola.
Mosca (AsiaNews) – Il servizio di sicurezza russo Fsb accusa il ministero ucraino della Difesa di sabotare le condutture del gas in Crimea con il concorso del Majlis dei tatari, considerato dai russi un’organizzazione terroristica. Secondo le indagini dell’Fsb, rivelate il 7 settembre, “il sabotaggio sarebbe avvenuto il 23 agosto nel villaggio di Perevalnoe, vicino al capoluogo Simferopoli; lo avrebbe compiuto la sezione del controspionaggio ucraino di stanza a Chersoneso, la cosiddetta squadra Tauria”.
Per un compenso di 2mila dollari a testa, i cospiratori avrebbero fatto entrare dell’esplosivo in Crimea già dalla fine di luglio. L’Fsb ha arrestato l’attivista tataro Nariman Djeljal, accusato di essere il “mediatore” dell’operazione, insieme ai “realizzatori immediati” Asan e Aziz Akhtemov.
A fine agosto l’amministrazione russa in Crimea ha approvato un progetto di desalinizzazione delle acque marine, affidato al gruppo Rostekh per 78 miliardi di rubli (poco meno di un miliardo di euro); la somma dovrebbe essere stanziata dal governo di Mosca. Per il loro funzionamento verranno costruite nove stazioni idroelettriche, come rivelato dal giornale Kommersant.
Dopo l’annessione della Crimea nel 2014, le autorità dell’Ucraina hanno chiuso il canale di acqua dolce della Crimea del nord, che riforniva l’intera penisola, da allora in grave carenza idrica. Nel 2013, prima del conflitto con i russi, la Crimea utilizzava circa 727,3 milioni di metri cubi d’acqua per la popolazione, l’agricoltura e l’industria. Già nel 2014 il consumo si era ridotto di quattro volte, a 172 milioni, come attestano i dati dell’Istituto di economia e produzione industriale dell’Accademia russa delle scienze.
Il piano ufficiale di dissalamento, che arriva al 2024, prevede un investimento di 9 miliardi di rubli (103 milioni di euro), 10 volte meno del progetto affidato alla Rostekh. Le stazioni di desalinizzazione sono molto care in produzione e per la manutenzione, e la loro installazione potrebbe alzare di molto le tariffe dell’acqua per la popolazione.
Non è ancora chiaro come potranno essere finanziati questi progetti, tanto più che saranno necessari macchinari molto cari di importazione, senza contare che la Crimea è sottoposta a sanzioni internazionali.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj vuole riprendersi la penisola, e la chiusura dei rubinetti d’acqua dolce è solo uno dei mezzi. Di recente Kiev ha rilanciato a livello internazionale la discussione sulla Crimea con la cosiddetta “Piattaforma crimeana”, cercando appoggi alla restituzione dei territori sottratti.
Il vice premier ucraino Aleksej Reznikov, responsabile per la reintegrazione dei territori “temporaneamente occupati”, ha dichiarato poco tempo fa che l’Ucraina deporterà circa mezzo milione di cittadini russi dopo aver ripreso la Crimea. Secondo i calcoli del governo ucraino, a tanto infatti ammonta il numero dei russi che si sarebbero trasferiti nella penisola dal 2014 a oggi. Egli ha precisato che secondo le leggi ucraine tutti loro si troverebbero “illegalmente” sul territorio crimeano.
Non è la prima dichiarazione di questo tipo da parte di esponenti del governo di Kiev, che considera i russi trasferiti sulla penisola “complici di un crimine di Mosca”. In realtà, dall’annessione la popolazione della Crimea è diminuita, tranne un lieve aumento degli abitanti di Sebastopoli. Per Mosca l’annessione è invece “la restaurazione di un’ingiustizia storica”, ed esclude ogni possibilità di restituzione all’Ucraina.
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