Crescita economica “instabile": rischo di una grande crisi in Cina
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – L’economia cinese è “gonfiata” dai prestiti concessi dalle banche alle aziende ma che queste non sono in grado di restituire. C’è il rischio di un crollo simile a quello degli anni ’30 negli Stati Uniti, con conseguenze in tutto il mondo.
La Banca per i Regolamenti Internazionali di Basilea, “banca centrale” delle Banche Centrali, lancia l’allarme e ravvisa analogie con la Grande Depressione degli anni ’30 o con la crisi di Giappone e sud-est asiatico dei primi anni ’90. Ricorda che “quei crolli sono stati preceduti da un periodo di rapida crescita senza inflazione, che hanno fatto annunciare a molti analisti l’avvento di una nuova era”. Adesso, come allora, ci sono indizi pericolosi, quali una massiccia emissione di nuovi strumenti di credito, la continua crescita del debito interno, la notevole propensione degli investitori a operazioni rischiose, i consolidati squilibri mondiali tra le valute. Questi squilibri dei mercati hanno un costo che colpisce l’economia mondiale e che potrebbe infine rivelarsi molto maggiore del previsto.
L’economia cinese – prosegue la Bri – sta ripetendo molti errori commessi dal Giappone negli anni ’80 che lo hanno portato a un eccesso di liquidità, quali “massicci investimenti” nell’industria pesante, uno sviluppo incontrollato delle attività e un aumento continuo dell’indebitamento delle aziende. Negli Stati Uniti del 1930 e nel Giappone del 1991 l’eccessivo indebitamento delle imprese e i crescenti investimenti hanno creato un sistema economico “gonfiato” che non è stato in grado di reggere il suo stesso peso. Oggi circa il 40% delle imprese statali cinesi sono in perdita e vivono grazie ai finanziamenti bancari, con notevole rischio per le banche di non poter recuperare le somme e con la necessità per le imprese di godere di un flusso costante di denaro a basso costo per non andare in bancarotta.
Anche la politica di bassi interessi sui finanziamenti a lungo andare ha effetti dannosi, perché opera un trasferimento di ricchezza dal creditore al debitore che usa il denaro prestato.
La crescita della Cina – conclude la Bri, ‘sovvertendo’ una frase abituale del premier Wen Jiabao – è stata “instabile, sbilanciata, non coordinata e insostenibile”.
Pechino ora cerca di diminuire la liquidità disponibile, ma gli interventi, come i ripetuti aumenti del tasso di interesse bancario, non hanno avuto effetti importanti dato che altri interventi (come, appunto, il continuo finanziamento alle imprese) operano in senso opposto.
Da anni la crescita del Paese è stata circa del 10% annuo, ma è fondata su fattori che non appare possibile mantenere. Anzitutto il basso costo della forza lavoro, con un sistematico sfruttamento della manodopera: stipendi minimi e spesso non pagati, lavoro minorile mal retribuito, vera “schiavitù” degli operai (come nelle fabbriche di mattoni dello Shanxi), scarsa sicurezza sul lavoro. Poi l’uso indiscriminato dell’ambiente, con poca attenzione alle immissioni inquinanti. Quindi una politica di espropriazione delle terre ai contadini per cederle a prezzo di favore alle aziende, o per realizzare lottizzazioni, con crescenti proteste sociali.
Una possibile crisi cinese avrebbe conseguenze in tutto il mondo, anche considerato che – osserva la Bri - la finanza “innovativa” (derivati finanziari, fondi speculativi ad alto rendimento, cartolarizzazioni e molte altre simili alchimie), la liberalizzazione dei mercati e la globalizzazione hanno prodotto una bolla monetaria senza precedenti nella storia: il volume globale della “quasi moneta” è pari a circa 50 volte il volume del Pil mondiale. Gli effetti sarebbero simili a quanto è già avvenuto nella storia: un impoverimento per molti e la concentrazione di ricchezze e potere in mano a pochi.
13/08/2007