Conflitti religiosi e dramma Rohingya "destabilizzano le riforme in Myanmar"
Roma (AsiaNews) - Pur a fronte di "alcune riforme a lungo auspicate", che vanno "riconosciute e incoraggiate", in Myanmar "permane una cultura dell'impunità che va affrontata con decisione". Fra le priorità da risolvere "la protezione delle minoranze etniche e religiose, il dialogo fra fedi diverse" e la nascita di una vera "cultura della pace". È quanto emerge nel rapporto redatto da Christian Solidarity Worldwide (Csw), organizzazione britannica che si batte da anni per la libertà religiosa e i diritti umani nel mondo.
Di recente una delegazione Csw, guidata dal responsabile per l'East Asia Benedict Rogers, ha compiuto un viaggio di quattro settimane attraversando il Paese e raccontando le aree di maggiori criticità. Fra queste, sono tre i punti più problematici: l'escalation del conflitto nello Stato Kachin fra l'esercito birmano e le milizie ribelli locali; il dramma dei Rohingya (legato allo scontro fra buddisti e musulmani), che dal giugno scorso ha causato centinaia di vittime e almeno 130mila sfollati; infine i prigionieri politici, con almeno 300 detenuti ancora oggi rinchiusi nelle carceri birmane per reati di opinione. Ed è di questi giorni la nuova emergenza nello Stato di Rakhine, dove è previsto l'arrivo di un devastante ciclone che rischia di mettere in ginocchio un'area già piagata dal conflitto interconfessionale. Migliaia di profughi sono ancora stanziati lungo la costa, a meno di 24 ore dall'arrivo della tempesta tropicale.
Per comprendere meglio l'attuale realtà birmana, attraverso gli occhi di un esperto che da anni ne segue da vicino le vicende politiche, sociali ed economiche, AsiaNews ha intervistato Benedict Rogers. Ecco, di seguito, quanto ha raccontato il team leader per l'East Asia di Csw:
Dalle testimonianze raccolte, che idea si è
fatto del conflitto tra maggioranza buddista birmana e la minoranza musulmana
Rohingya?
Siamo al cospetto di un conflitto tragico e
potenzialmente devastante per il Myanmar nel suo complesso. Esso è legato a
profonde incomprensioni e non sarà certo facile risolverlo. Vi sono al tempo
stesso elementi di natura religiosa ed etnica nello scontro, e la percezione
che i Rohingya siano immigrati clandestini provenienti dal Bangladesh. I Rohingya
sono sono fra le popolazioni più vulnerabili ed emarginate della Terra; essi
rischiano di subire una vera e propria campagna di pulizia etnica, che rischia
persino di sfociare nel genocidio. Per risolvere questo problema annoso e grave
saranno necessari sforzi sovrumani, atti a ristabilire la verità in merito alle
loro rivendicazioni, che affondano le radici nella storia e che puntano al
riconoscimento del diritto di cittadinanza in Myanmar. Si tratta di sforzi che
si rivolgono anche nella direzione di una lotta alla disinformazione costante
che circola di continuo su di loro nella ex Birmania, e favorire il dialogo fra
fedi religiose ed etnie diverse.
Qualcuno si muove dietro le quinte, per
alimentare la violenza e mettere a rischio le riforme? E chi avrebbe interesse
a farlo?
È un fatto noto e acclarato che vi siano forze che
lavorano continuamente per infiammare il conflitto religioso in Birmania, sia
fra i Rakhine (nell'omonimo Stato a ovest del Myanmar, ndr) e i Rohingya, che fra buddisti e musulmani in modo ancor più
evidente. Non si sa ancora con precisione chi siano queste "forze" che operano
da dietro, ma è certamente assai probabile che siano elementi all'interno
dell'esercito, del governo o delle forze di intelligence e dei servizi segreti
che stanno cercando in tutti i modi di destabilizzare il processo di riforme
politiche; l'obiettivo per quanto possibile è quello di ricreare le condizioni
per cui, data la situazione di incertezza e instabilità, ai militari è offerta
l'opportunità di riprendersi il potere nelle loro mani. È anche possibile che
si cerchi deliberatamente di minare e abbattere la figura politica di Aung San
Suu Kyi. Tuttavia, è altrettanto importante considerare il fatto che vi siano
pregiudizi di natura razziale e religiosa assai diffusi e radicati in seno alla
società birmana nel suo complesso e che questi atteggiamenti vanno pure loro
affrontati in maniera radicale.
La giunta militare, al governo sino al 2011,
detiene ancora potere ed equilibri del Paese?
In prima istanza è importante ricordare che il
cosiddetto "nuovo" governo è composto in grandissima parte da membri della
precedente giunta militare. Quasi tutti i ministri sono in realtà ex generali.
Il presidente Thein Sein era il Primo Ministro della vecchia giunta militare.
Ecco perché non è corretto affermare che i militari si muovano da "dietro le
quinte", visto che molti di loro figurano nell'attuale esecutivo. Sì, la giunta
è ancora influente. Mentre non è dato sapere esattamente quanto sia il grado di
pressione esercitato da figure come Than Shwe - il generalissimo, per anni
padre e padrone del Myanmar, ndr - e
di altri che sembrano essersi ritirati dalla scena pubblica; anche se non è
sbagliato presupporre che, ancora oggi, un margine di influenza lo possano
esercitare.
La Chiesa cattolica può contribuire ad
allentare la tensione nel Paese?
Certamente sì! Credo che la Chiesa cattolica abbia
un ruolo chiave in quanto elemento di pace, di amore, di giustizia e di armonia.
All'interno della società, vi sono forti tensioni fra buddisti e musulmani, ma
in generale permangono buone relazioni fra buddisti e cristiani, in particolare
con i membri della Chiesa cattolica. Per questo essa può svolgere a pieno
titolo il ruolo di mediatrice, promuovendo e facilitando il dialogo
interreligioso. In Myanmar ho potuto vedere una Chiesa vibrante e attiva, che
svolge un ruolo di primo piano all'interno della società. Tuttavia, essa si
trova a operare in un contesto che rischia di irritare la maggioranza buddista.
Deve restare comunque molto cauta ed evitare di provocare o aizzare la frangia
nazionalista e buddista militante, per evitare di attirare l'attenzione o
subirne gli strali.
19/06/2015
05/10/2017 12:38