Condanne lievi per gli estremisti islamici autori dell’assalto agli ahmadi
di Mathias Hariyadi
Per i 12 imputati pene variabili fra i tre e i sei mesi di carcere. Nell’attacco del febbraio scorso contro la minoranza religiosa sono morte tre persone. In Indonesia infuria la polemica sull’incapacità del sistema giudiziario di punire i responsabili. Attivista per i diritti umani: altri episodi analoghi in futuro.
Jakarta (AsiaNews) – Il sistema giudiziario indonesiano di nuovo al centro delle polemiche, perché incapace di punire con pene severe ed esemplari i responsabili di violenze interconfessionali e crimini contro le minoranze. L’ultimo caso è avvenuto ieri, quando la Corte distrettuale di Serang, nella provincia di Banten (Java), ha emesso condanne minime contro 12 estremisti islamici, implicati nell’assalto contro una comunità ahmadi avvenuto nel febbraio scorso a Cikeusik.
A quanto riferisce uno dei membri dell’Islamic Lawyer Team (Tpm) gli imputati hanno subito pene variabili tra i tre e i sei mesi di prigione. Il pubblico ministero e i giudici hanno attribuito una parziale responsabilità alla minoranza religiosa (ritenuta eretica perché non riconosce Maometto come ultimo profeta), che avrebbe “provocato” l’attacco degli assalitori. Gli ahmadi, secondo il pm Yunis, avrebbero “sistematicamente provocato gli scontri”. In realtà, dietro le pene lievi vi sarebbero delle pressioni della frangia fondamentalista islamica.
Attivisti per i diritti umani e membri della società civile manifestano indignazione per le condanne decise dal tribunale, se raffrontate alla gravità della vicenda. Il 6 febbraio scorso una folla composta da un migliaio di estremisti ha attaccato una abitazione privata, al cui interno erano riuniti un gruppo di fedeli ahmadi. All'intimazione di abbandonare la casa, gli esponenti della minoranza religiosa hanno opposto un netto rifiuto, scatenando la feroce reazione degli assalitori.
Il bilancio finale delle violenze è stato di tre morti e decine di feriti. Per la vicenda sono stati incriminate 12 persone, condannate a pene di pochi mesi. Hendardi, presidente del Setara Institute, sottolinea come per l’ennesima volta “l’Indonesia non è stata in grado di garantire giustizia” in un caso di violenze interconfessionali. Egli aggiunge che si trattava di un “attacco mirato” e le pene “non serviranno come deterrente in futuro”. Gli fa eco Phil Robertson, presidente della sezione asiatica di Human Right Watch (Hrw), secondo cui potrebbero verificarsi “altri episodi analoghi in futuro”.
Il fallimento del sistema giudiziario indonesiano, incapace di punire i protagonisti delle violenze interconfessionali, è emerso più volte anche in passato, soprattutto per quanto concerne gli attacchi ai cristiani. Fra i molti esempi recenti, le cronache riportano il caso del leader islamico responsabile del brutale assalto contro i fedeli di Temanggung, nello Java centrale, e condannato a una pena minima rispetto al crimine commesso (cfr. AsiaNews 18/06/2011, Central Java, giustizia sotto scacco: solo un anno all’imam che ha ordinato l’attacco a tre chiese).
A quanto riferisce uno dei membri dell’Islamic Lawyer Team (Tpm) gli imputati hanno subito pene variabili tra i tre e i sei mesi di prigione. Il pubblico ministero e i giudici hanno attribuito una parziale responsabilità alla minoranza religiosa (ritenuta eretica perché non riconosce Maometto come ultimo profeta), che avrebbe “provocato” l’attacco degli assalitori. Gli ahmadi, secondo il pm Yunis, avrebbero “sistematicamente provocato gli scontri”. In realtà, dietro le pene lievi vi sarebbero delle pressioni della frangia fondamentalista islamica.
Attivisti per i diritti umani e membri della società civile manifestano indignazione per le condanne decise dal tribunale, se raffrontate alla gravità della vicenda. Il 6 febbraio scorso una folla composta da un migliaio di estremisti ha attaccato una abitazione privata, al cui interno erano riuniti un gruppo di fedeli ahmadi. All'intimazione di abbandonare la casa, gli esponenti della minoranza religiosa hanno opposto un netto rifiuto, scatenando la feroce reazione degli assalitori.
Il bilancio finale delle violenze è stato di tre morti e decine di feriti. Per la vicenda sono stati incriminate 12 persone, condannate a pene di pochi mesi. Hendardi, presidente del Setara Institute, sottolinea come per l’ennesima volta “l’Indonesia non è stata in grado di garantire giustizia” in un caso di violenze interconfessionali. Egli aggiunge che si trattava di un “attacco mirato” e le pene “non serviranno come deterrente in futuro”. Gli fa eco Phil Robertson, presidente della sezione asiatica di Human Right Watch (Hrw), secondo cui potrebbero verificarsi “altri episodi analoghi in futuro”.
Il fallimento del sistema giudiziario indonesiano, incapace di punire i protagonisti delle violenze interconfessionali, è emerso più volte anche in passato, soprattutto per quanto concerne gli attacchi ai cristiani. Fra i molti esempi recenti, le cronache riportano il caso del leader islamico responsabile del brutale assalto contro i fedeli di Temanggung, nello Java centrale, e condannato a una pena minima rispetto al crimine commesso (cfr. AsiaNews 18/06/2011, Central Java, giustizia sotto scacco: solo un anno all’imam che ha ordinato l’attacco a tre chiese).
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