Con la zona franca di Shanghai, Pechino liberalizza il mercato finanziario in yuan
Milano (AsiaNews) - La Banca centrale cinese ha emanato nuove disposizioni attuative che permettono alle imprese insediate nella Zona Franca di Shanghai (ZFS), di indebitarsi in yuan detenuti da controparti estere. E' un primo passo, per una prova dal vivo e in un contesto di alta visibilità, verso drastiche liberalizzazioni finanziarie destinate ad aprire la strada ad ulteriori riforme economiche nel resto della Cina.
In una conferenza stampa lo scorso 21 febbraio, la banca ha illustrato in dettaglio come le imprese insediate nei circa 30 chilometri quadrati della zona franca potranno indebitarsi con controparti estere in valuta cinese. Finora, invece, l'impiego di yuan di conto estero era limitato alle partite correnti cioè, nei rapporti con entità estere, era possibile, in yuan, solo fatturare e saldare fatture commerciali.
In base alle nuove direttive le circa 10mila imprese della ZFS saranno autorizzate ad indebitarsi con l'estero in yuan per un ammontare fino al 150 % del proprio capitale sociale. Inoltre le banche della ZFS sono state incoraggiate a semplificare le proprie procedure per rendere più agevole l'impiego di yuan di conto estero per le imprese loro clienti.
Le nuove norme sono state accolte con soddisfazione sia dalle banche che dalle imprese perché rendono chiaro quanto finora era rimasto incerto e consente agli istituti di credito molte nuove opportunità di transazioni finanziarie per le quali vi è già una forte richiesta potenziale.
La ZFS, come area integrata, era stata lanciata nel 2013, lo scorso settembre, e l'obiettivo, che il governo cinese da tempo persegue, è che Shanghai torni ad essere il principale polo finanziario della Cina continentale, come lo era storicamente fino alla fine degli anni '40, prima dell'insediamento del regime comunista in Cina. Negli intenti del governo, compito del polo finanziario di Shanghai è trainare l'economia cinese lungo la strada di ulteriori liberalizzazioni.
La ZFS, ufficialmente CSPFTZ - China (Shanghai) Pilot Free Trade Zone - nasce dall'unione di diverse precedenti zone franche specializzate di cui la prima, la Waigaoqiao Free Trade Zone, risale al giugno 1990, a meno di un anno dalla caduta del Muro di Berlino. L'aggregazione delle diverse zone franche rende oggi chiaro il disegno, esplicito ora anche nel nome, che è di pilotare l'evoluzione graduale dell'economia cinese da un'economia di comando, come quella comunista, ad una regolata dai mercati finanziari.
E' anche abbastanza facile comprendere perché, mediante l'esperimento pilota di Shanghai, il governo cinese abbia in questo momento interesse ad accelerare la liberalizzazione delle transazioni finanziarie denominate in yuan di conto estero. Questa è infatti l'unica strada per arrivare alla piena convertibilità valutaria dello yuan. L'obiettivo finale è rendere la moneta cinese una valuta di riserva, come ad esempio il dollaro, l'euro e, in misura minore, lo yen e la sterlina. L'importanza per un Paese di poter emettere una propria moneta con funzioni di valuta di riserva era stato chiaro agli Usa almeno sin dagli accordi di Bretton Woods del 1943. L'America correva in soccorso della Gran Bretagna, che senza l'intervento statunitense era destinata alla sconfitta, in cambio di una graduale diluizione della propria sovranità monetaria: accettava che il dollaro fosse a pieno valore equiparato all'oro come strumento principale di riserva monetaria. A partire dal 15 agosto 1971, con la soppressione della convertibilità in oro del dollaro, si era già completato il processo di sostituzione valutaria per i paesi legati alla Nato, ma non per varie altre aree del mondo. Il vantaggio del possesso della piena sovranità monetaria è stato reso chiaro in questi anni in varie occasioni: gli Usa hanno potuto mantenere, per molti decenni ormai, un deficit di bilancio ed un deficit del commercio estero e di conto corrente finanziario, senza dover subire una crisi valutaria come quelle cui sono andati incontro i Paesi del Sud Est asiatico nel 1997-1998, o la Russia subito dopo, o l'Argentina e molti altri Paesi emergenti più di recente.
La Cina ha oggi bisogno dello stesso vantaggio goduto dagli Usa con il dollaro perché la strada intrapresa a partire dalla crisi mondiale del 2008, seguita al fallimento della Lehman, ha condotto sul ciglio di un precipizio ormai davvero prossimo. Lo "stimolo" di spesa pubblica interna cinese, la strada seguita a partire dal 2009, non ha prodotto crescita economica autonoma ma solo buchi: città disabitate perché troppo care e perciò prive di domanda, sovraccapacità produttiva inutilizzata, inflazione "sbianchettata" ed un sistema finanziario "ombra" prossimo al crac.
Il minatore degli altipiani andini o quello di molti Paesi dell'Africa australe oggi è contento quando, a fronte della sua fatica, può ricevere cartamoneta sotto forma di dollari. Il governo di Pechino, liberalizzando le transazioni finanziarie in yuan di conto estero, desidera che quel minatore sia in futuro altrettanto felice di detenere banconote cinesi. La Cina non è un'alternativa alla modernità declinante e fallimentare, non è diversa dall'America, la sta copiando e vuole solo sostituirsi in tutto o in parte ad essa.