Cinesi e giapponesi hanno studiato insieme la difficile storia dei loro rapporti
di Pino Cazzaniga
Un rapporto costato tre ani di lavoro a studiosi dei due Paesi. Un’opera significativa, anche se non parla, per motivi politici, dell’ultimo dopoguerra. La pubblicazione rinviata a quest’anno su richiesta di Pechino.
Tokyo (AsiaNews) – “Un’impresa senza precedenti”. Il quotidiano Asahi definisce così l’essere riusciti a mettere insieme esperti cinesi e giapponesi e aver reso pubblico, il 31 gennaio, un documento di 549 pagine che sintetizza i risultati di tre anni di discussioni congiunte sulla storia dei due Paesi nelle loro relazioni vicendevoli.
L’avvicinamento alla Cina è una colonna portante della politica estera del governo dell’attuale primo ministro giapponese Yukio Hatoyama.
Per tutto il secolo scorso sentimenti di inimicizia e, nei periodi meno caldi, di diffidenza reciproca hanno qualificato i rapporti tra le due nazioni più importanti dell’Asia orientale. Le responsabilità maggiori, come riconosce anche il rapporto, sono imputabili al Giappone. La causa principale è stata la guerra di aggressione alla Cina (1937-1945). Essa ha inflitto al popolo cinese una grave ferita che il trattato di pace e amicizia firmato dai governi di Pechino e Tokyo nel 1978 non è riuscito a sanare. Anzi essa era stata esacerbata dalla caparbietà dell’eccentrico, anche se carismatico, primo ministro Junichiro Koizumi (2001-2006), per le ripetute visite al santuario shintoista Yasukuni, ritenuto simbolo del vecchio nazionalismo militarista.
Genesi del progetto
La proposta di uno studio congiunto sulla storia delle due nazioni, iniziativa del Giappone, è stata avanzata, ironia della storia, durante il terzo governo di Koizumi.. Tuttavia l’ispiratore non è stato il problematico premier, ma Nobutaka Machimura, il suo ministro degli esteri. Questi aveva ben capito che la vera causa dell’attrito tra le due nazioni non era politica, ma psicologica: la grave ferita inferta al popolo cinese dall’imperialismo giapponese non era stata risanata. La ricerca congiunta sulla storia delle due nazioni affidata poteva essere la terapia efficace.
Le violente dimostrazioni antinipponiche dei giovani cinesi nell’aprile del 2005 hanno indotto Mochimura a proporre a Pechino il progetto di studio comune della storia con lo scopo di migliorare la reciproca comprensione. Qualche mese dopo Koizumi si è dimesso volontariamente e nell’ottobre del 2006 durante l’incontro al vertice a Pechino tra il presidente cinese Hu Jintao e il nuovo premier giapponese Shinzo Abe i due governi hanno deciso di dare inizio alla realizzazione del progetto
Difficoltà e convergenze
L’analisi storica è stata commissionata a due gruppi di accademici, presieduti rispettivamente dal giapponese Shin ichi Kitaoka, dell’università di Tokyo, e dal cinese Bu Ping, direttore dell’istituto di storia moderna dell’Accademia cinese di scienze sociali.
Gli studiosi delle due parti, lavorando con zelo, sono riusciti a presentare il rapporto finale nell’estate del 2008, trentesimo anniversario della firma del trattato di pace tra Cina e Giappone. Pare che la libertà di ricerca non sia stata limitata per quanto riguarda il lavoro tecnico-scientifico.
Tuttavia non sono mancate difficoltà, dovute a interventi politici, specialmente da parte cinese, per quanto riguarda l’opportunità e il tempo della pubblicazione. Le inevitabili discrepanze nel giudizio di alcuni eventi, non hanno nuociuto al progetto che, di per sé non implicava un “accordo” ma solo uno studio sulla base dei documenti esaminati secondo i criteri della critica storica.
Restano però due fatti e un disaccordo di giudizio che gettano un’ombra sull’impresa
Un rapporto incompleto e rinviato.
Secondo il piano originale gli esperti delle due commissioni avrebbero dovuto scrivere e scambiarsi opinioni su temi riguardanti la storia antica, medievale, moderna e contemporanea, compreso lo sviluppo pacifico del Giappone nel dopoguerra. E in effetti il lavoro è stato completato.
Tuttavia per intervento del governo cinese, nel rapporto non è stata pubblicata la sezione che riguarda il dopo-guerra. Analisti giapponesi ritengono che l’inevitabile accenno al “massacro della Piazza Tiananmen” del 4 giugno 1989 sia stato il motivo della censura governativa cinese.
Il taglio ha nuociuto al Giappone perchè non ha presentato ai cinesi e, indirettamente, al mondo il bel volto di questa nazione nel dopoguerra. In forza della Costituzione del 1947 il popolo giapponese ha rinunciato “alla guerra come diritto sovrano della nazione e all’uso della forza come mezzo per risolvere dispute internazionali” (art. 9). E così negli ultimi 64 anni nessun giapponese è morto in guerra o ha ucciso in guerra. Ma il pacifismo giapponese non è stato solamente passivo: lo sviluppo economico del mondo, dell’Asia, soprattutto, compresa la Cina e dell’Africa devono molto ai soldi e all’assistenza tecnica del Giappone.
Il lavoro degli accademici, giapponesi e cinesi, è proceduto senza intoppi fino al tempo della visita di Stato di Hu Jintao (nella foto) a Tokyo (maggio 2008). Il rapporto congiunto avrebbe dovuto essere pubblicato nel mese di agosto dello stesso anno. Invece, ritornato il presidente cinese in patria, il governo di Pechino ha chiesto che la pubblicazione fosse dilazionata, in quanto si temevano reazioni negative della popolazione, che avrebbero guastato l’atmosfera delle Olimpiadi nella capitale cinese e quella dei festeggiamenti per il sessantesimo della nascita della Repubblica popolare cinese (1949-2009) nell’anno eseguente.
Irrisolto il contrasto di opinioni sull’eccidio di Nanchino del 1937
Nel dicembre del 1937 la città di Nanchino, allora capitale della Cina, occupata dalle truppe dell’esercito imperiale giapponese, divenne lo scenario delle peggiori atrocità di quella guerra, scrive lo storico inglese G. Beasley. Da allora il contrasto di opinioni circa il numero degli uccisi non si è mai risolto. La Cina, basandosi sulla dichiarazione dell’International Military Tribunal for the Far East, ha sempre asserito che gli uccisi hanno superato la cifra di 200mila. Il Giappone sulla base di altre informazioni ha sempre ritenuto che sono stati molto meno: 20mila o 40mila.
Nello studio congiunto il dissidio non è stato risolto. Tuttavia le due parti si sono astenute dall’asserire quale fosse la cifra legittima.
Nonostante questi difetti, il giudizio dei critici sulla realizzazione del progetto è positivo. Il suo scopo era migliorare la comprensione vicendevole. E questo è stato ottenuto, in parte almeno, a livello di esperti. Ora si tratta di diffonderne la conoscenza nelle rispettive popolazioni. Per questo e per migliorarne il contenuto le due nazioni hanno deciso di continuare lo studio congiunto.
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