Cina: tornare a posizioni quasi-maoiste per neutralizzare la Rivoluzione dei gelsomini
I precedenti piani quinquennali della Cina erano in genere focalizzati sull’economia e poco altro. Invece, le linee guida del 12° Programma Quinquennale per lo Sviluppo Sociale ed Economico per il 2011-2015 (di seguito: Programma), divulgato alla fine dell’Assemblea nazionale del popolo (Anp) a metà marzo, parla in modo diffuso con riguardo al nuovo imperativo del Partito Comunista Cinese (Pcc) di imporre un controllo più saldo sulla popolazione [vedi AsiaNews 24.3.2001, Willy Lam: l'occasione perduta del Parlamento cinese]. Il Programma contiene lunghe sezioni sul rafforzamento della sicurezza pubblica, l’affronto degli “incidenti di massa”, come pure sul miglioramento della “gestione sociale” (shehui guanli), che sono parole in codice per indicare l’aumento della stabilità socio-politica.
La svolta conservativa nelle politiche cinesi è stata affinata nel Rapporto di lavoro legislativo, di linea dura, del presidente dell’Anp Wu Bangguo, alla sessione parlamentare plenaria. Wu, che è anche membro del Comitato permanente del Politburo (Pbsc), ha ammonito che abbandonare la leadership del Pcc e i principi socialisti ortodossi vorrebbe dire “precipitare il Paese nell’abisso del caos interno” (Agenzia Xinhua News, 10 marzo; Ming Pao [Hong Kong], 11 marzo).
Il Programma comincia sottolineando che, in conseguenza dei profondi mutamenti negli scenari domestico e globale, la leadership cinese “affronta rischi e incertezze che in parte sono stati previsti e in parte sono difficili da pronosticare”. “Noi – dice il documento - dobbiamo accrescere la nostra consapevolezza sia delle opportunità che dei rischi – e prendere l’iniziativa per adeguarci ai mutamenti delle condizioni”. Viene aggiunto che Pechino “deve in modo effettivo attenuare vari tipi di contraddizioni” per conseguire gli obiettivi socio-economici dei prossimi 5 anni. Mentre il Programma elenca sfide in vari settori che vanno da [l’approvvigionamento di] risorse e tecnologia alle risorse umane, è ovvio che un concetto chiave è la stabilità interna. Il Programma indica “l’ovvio aumento delle contraddizioni sociali” come un ostacolo primario agli obiettivi della grande modernizzazione della nazione (Agenzia Xinhua News, 17 marzo; China News Service, 17 marzo).
Il Programma svela per la prima volta i piani elaborati dalla leadership del Pcc per costruire in tutta la nazione un “vingji xitong [sistema di risposta rapida] per affrontare gli episodi di emergenza”. Si tratta di una apparente reazione agli stimati oltre 100mila incidenti di massa – compresi proteste e disordini – che hanno colpito il Paese ogni anno sin dalla seconda metà degli anni 2000. Il documento non menziona le “rivoluzioni colorate”, ma la leadership del Pcc, sia prima che dopo l’Anp, ha indicato di volere prevenire “le forze ostili anti-cinesi” dal fomentare disordine nel Paese (Christian Science Monitor, 3 marzo; Reuters, 21 marzo).
Il Programma ha sottolineato che il previsto vingji xitong “deve essere sotto un comando comprensivo e unificato, strutturato in modo razionale, capace di reazioni rapide – e deve avere capacità garantite e un’elevata efficienza operativa”. La “ossatura” di questo meccanismo sarebbe costituita dalla polizia, funzionari della Polizia armata del popolo (Pap) e dell’Esercito di liberazione del popolo (Pla). Il secondo dovrebbe essere integrato da esperti di sicurezza pubblica e professionisti, da uno staff a tempo pieno e a tempo parziale di strutture collegate alla sicurezza, come pure da volontari. Non sono state indicate scadenze, ma questo labirintico apparato wei-wen (“mantenente la stabilità”), che è sottoposto alla supervisione generale della Commissione centrale del Pcc per gli affari politici e legali (Ccpla), si prevede sia costituito per il 2015. In apparenza è per i forti costi conseguenti che il budget wei-wen per il 2011 è stato di 624,4 miliardi di yuan (95,18 miliardi di dollari), che sono 23,3 miliardi di yuan (3,55 miliardi di dollari) più di quello del Pla (vedi “The Wei-Wen Imperative Steals the Thunder at Npc”, China Brief, 10 marzo).
Una sezione collegata del Programma, che è stata dedicata al nuovo concetto di “gestione sociale”, è focalizzata sul mantenimento dell’ordine pubblico e dell’armonia. Come indicato dal presidente Hu Jintao a un incontro del Politburo a febbraio, la gestione sociale è stata orientata nella direzione di “promuovere un benevolo ordine sociale, e assicurare che la società sia piena da una parte di vigore, e dall’altra di armonia e stabilità” (Agenzia Xinhua News, 19 febbraio; Quotidiano del Popolo, 20 febbraio). A questo fine, gli uffici per la gestione-sociale stanno sorgendo nell’intera nazione: ci sarà almeno una di queste unità per ogni strada principale nelle grandi città, come pure per ognuno degli oltre 40mila città e comuni rurali del Paese. Il Programma ha osservato che i nuovi uffici, oltre a trattare settori collegati ai servizi pubblici e alle disposizioni per il benessere sociale, dovranno prendersi cura dello “affronto globale dei problemi di legge-e-ordine”, migliorare la stabilità socio-politica e trattare le petizioni presentate da cittadini con lamentele contro i dipartimenti del Pcc e del governo. Si prevede che queste unità di gestione-sociale lavoreranno a stretto contatto con gli Uffici Wei-Wen che sono stati costituiti sin dal 2008 nella gran parte delle province e nelle maggiori città (New York Times, 28 febbraio; Wall Street Journal, 9 dicembre 2009).
Il più aggressivo approccio del Pcc al wei-wen richiede un reclutamento su vasta scala di volontari. Il Programma indica che nella maggior parte dei distretti, un residente su 10 diventerebbe un “volontario sociale registrato”. Il massiccio impiego di volontari per il wei-wen appare fondato sull’esperienza delle Olimpiadi estive del 2008 e sull’Expo 2010 di Shanghai, quando le municipalità di Pechino e di Shanghai reclutarono oltre un milione di sorveglianti per mantenere l’ordine e il rispetto della legge. Sempre durante le Olimpiadi di Pechino, i funzionari del Ccpla ebbero per la prima volta l’idea di costituire un apparato di pubblica sicurezza “stile guerra della popolazione” per combattere le forze destabilizzanti (si veda “Beijing Revives Mao’s People’s Warfare to Ensure Trouble-Free Olympics, China Brief, 1 luglio 2008).
E’ anche significativa la raccomandazione del Programma che le “organizzazioni sociali” (shehui zuzhi), che è il termine ufficiale della associazioni non governative (Ong) di stile-cinese, siano poste sotto una più stretta sorveglianza del governo. Diversi dipartimenti del Pcc e del governo sono stati sollecitati a “istituire una serie di codici di prassi e di criteri per le attività delle organizzazioni sociali, e per aumentare l’efficienza effettiva della supervisione del governo”. Il documento osserva che le ong dovrebbero essere sottoposte a un sistema di controlli consistenti in “una sintesi tra controllo legale, controllo del governo, controllo sociale e auto-controllo”. Visto il ruolo che le ong hanno svolto nelle rivoluzioni colorate in Asia Centrale, Medio Oriente e Nord Africa, forse non è sorprendente che Pechino sia ansiosa di sorvegliare in modo stretto i partecipanti delle ong, specie chi sembra avere rapporti con Paesi occidentali. L’approccio circospetto del governo cinese è risultato con chiarezza l’anno scorso quando la filiale cinese di Oxfam, un ente con sede a Londra per l’aiuto dei poveri, è stato accusato del governo cinese di cercare di “infiltrarsi” nel Paese (The Guardian, 23 febbraio 2010; BBC News, 23 febbraio 2010).
Il Programma comprende una sezione su junmin ronghe, ovvero la “sintesi tra militare e civili”. Il documento dedica la massima enfasi a “il fondamentale principio e metodo dell’assoluto comando del Partito sull’esercito”. Esso dà anche risalto all’ideale della “unità tra esercito e governo, come pure tra esercito e popolazione”. Il Pap, il cui principale compito è combattere le minacce contro la sicurezza interna, dovrebbe “accrescere la capacità di trattare le emergenze, combattere il terrorismo e mantenere la stabilità”. Come il patriarca Deng Xiaoping ha sottolineato subito prima del colpo di grazia di piazza Tiananmen, il Pla e il Pap sono stati una “Grande muraglia di acciaio” che ha salvaguardato il potere e le prerogative del Pcc (Asia Times, 11 marzo; Fat Eastern Economic Review, settembre 2009). Per la rubrica junmin ronghe, Pla e Pap hanno potere sulle risorse civili economiche, tecnologiche e umane, in tempo di pace come pure durante le crisi nazionali.
In che modo una maggiore partecipazione politica della popolazione può disinnescare le crescenti contraddizioni interne del Paese? Il Programma contiene un sezione su “sviluppi politici democratici socialisti”, dove è indicato che i cittadini cinesi avevano “il diritto di conoscere, il diritto di partecipare [alla politica], il diritto di esprimersi, e il diritto di controllare [il governo]”. Esso anche indica che Pechino dovrebbe spingere verso “elezioni democratiche, procedure decisionali democratiche, gestione democratica e controllo democratico” nel rispetto della legge. E’ comunque vero che queste e analoghe promesse fatte dalla leadership del Pcc negli ultimi anni sono stati più retoriche che sostanziali. Per esempio, da quando Deng ha introdotto le elezioni per [i governi a livello de] i villaggi nel 1979, sono stati fatti pochi sforzi per estendere il voto alle amministrazioni di livello superiore. Il premier Wen, parlando ai reporter al termine dell’Anp a metà marzo, in apparenza ha cercato di spiegare la mancanza di progressi sulle elezioni dicendo che “questo richiede una [lunga] procedura e [molto] tempo”. Egli ha aggiunto che la riforma politica potrebbe soltanto essere “portata avanti in un modo ordinato in un ambiente sociale armonioso e stabile - e sotto la leadership del partito” (China News Service, 14 marzo; Ming Pao, 15 marzo).
Il richiamo del Pcc per una più controllata “gestione sociale” è arrivato nell’onda di una maggiore spinta verso ideali conservatori – e quasi-Maoisti – nella politica cinese. Questo è stato confermato dal duro saluto all’Anp fatto dal presidente [dell’Anp] Wu Bangguo. I “sette non” di Wu sulla politica cinese hanno attirato l’attenzione internazionale. Questi comprendono la non adozione di valori occidentali; la non adozione di un “sistema di più partiti che a rotazione tengano l’ufficio; la non pluralizzazione dei dogma guida [dello Stato]; la non divisione tripartita dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario; la non adozione di una legislatura bicamerale; no a un sistema federale e no alla privatizzazione. Egli ha aggiunto che, per assicurare il “corretto orientamento politico” della Cina, le istituzioni cinesi, la Costituzione e le leggi devono salvaguardare “lo status del Pcc come nucleo che guida il Paese” (China News Service, 9 marzo; The Associated Press, 9 marzo; BBC News, 10 marzo).
Inoltre, Wang Shengiun, presidente della Corte Suprema del Popolo, nel suo rapporto all’Anp ha assicurato che i tribunali avrebbero “mantenuto con diligenza l’armonia e la stabilità sociale”. “Noi rafforzeremo e saremo innovativi con riguardo alla gestione sociale così da sostenere l’armonia e la stabilità sociale”, ha detto Wang. “Noi puniremo con severità le azioni criminali che mettono a repentaglio la sicurezza dello Stato e la stabilità sociale”. In un apparente ripudio del principio dell’indipendenza del potere giudiziario, Wang si è impegnato ad aumentare, per i più elevati funzionari giudiziari, “l’istruzione nella natura [ideologica] del partito, lo stile del partito e la disciplina del partito” così come ad “aumentare la loro resistenza contro la corruzione e contro la degenerazione [per l’adesione a valori occidentali]”. Il giudice capo ha pure sollecitato i suoi colleghi più giovani a seguire la “forte leadership delle autorità centrali del Pcc sotto il compagno Hu Jintao e a tenere alta la grande bandiera del socialismo cinese” (Agenzia Xinhua News, 19 marzo; Sina.com, 19 marzo).
Secondo l’intellettuale liberale Bao Tong, la rinnovata determinazione del Pcc a rifiutare le cosiddette regole occidentali, potrebbe soltanto esacerbare le tensioni socio-politiche del Paese. Bao, già stretto collaboratore del capo del partito Zhao Ziyang, poi cacciato, ha sottolineato che valori come la privatizzazione, regole politiche pluraliste e la divisione tripartita dei poteri sono “buoni principi riconosciuti in modo universale dalla comunità internazionale” Egli ha aggiunto che il Pcc può “raggiungere un’effettiva stabilità e armonia sociale” soltanto con l’adozione di standard democratici globali (Radio Free Asia, 19 marzo). Il modo metodico con il quale il Programma – e i maggiori funzionari del Pcc – hanno ripristinato idee e istituzioni quasi-Maoiste, comunque, significa che le speranze di Bao e di altri intellettuali progressisti possono essere abbandonate almeno nel termine breve-medio.