Cina: diritti umani minacciati dalla violenza dei governi locali
In Cina crescono sempre di più le proteste sociali collegate allo sfruttamento dei lavoratori ed al mancato rispetto dei diritti umani. Per fermarle, i governi locali mandano bande armate di sconosciuti contro i manifestanti. Questo nuovo fenomeno "va contro le dichiarazioni di Pechino, che predica lo sviluppo armonico, e preoccupa perché apre la strada all'illegalità totale nella gestione dei diritti civili in Cina".
Hong Kong (AsiaNews) I governi locali delle province cinesi "non rispettano la linea politica di Pechino, che predica la sviluppo armonico della società" e cercano di fermare le sempre più frequenti proteste popolare "usando bande armate illegali che spengono nel sangue la voce dei cittadini". Han Dongfang, fondatore del primo sindacato libero in Cina, spiega così in una lunga analisi l'aumento delle proteste sociali e la nascita dei wei quan, i movimenti popolari di protesta sempre più numerosi in tutta la Cina.
Han ha passato diversi anni in prigione, dopo il massacro di Tiananmen. Ammalatosi, Pechino lo ha liberato per ragioni sanitarie e lo ha praticamente espulso negli Stati Uniti. Al suo ritorno, le guardie di frontiera gli hanno ritirato il passaporto. Da apolide, ospitato ad Hong Kong, oggi dirige il China Labour Bulletin, con notizie sulla situazione dei lavoratori in Cina.
Riportiamo di seguito l'analisi completa.
I cittadini cinesi hanno iniziato ad alzarsi in piedi per difendere i loro diritti ed hanno iniziato a farlo tutti insieme. Nel corso dell'ultimo paio d'anni, ha avuto luogo un numero sempre crescente di proteste a favore dei diritti civili, sia nelle campagne che nelle città.
Queste proteste sono nate a causa di un numero molto ampio di problemi, tutti collegati alle sempre maggiori ingiustizia sociale e disuguaglianza economica ed alla mancanza di un'equa politica governativa, fenomeni nati dalle conseguenze delle riforme economiche attuate nel Paese durante gli ultimi venti anni. I cittadini stanno facendo sentire la loro protesta in maniera organizzata contro abusi come la requisizione di terre senza compenso, lo sfollamento forzato di cittadini che vengono cacciati dalle loro case per fare strada allo sviluppo urbano e la decisione di costruire industrie inquinanti in zone densamente popolate.
Le proteste dei lavoratori nascono dai massacranti ed eccessivi turni lavorativi, dalle paghe non corrisposte e dagli straordinari imposti e non pagati, da condizioni di lavoro insicure e da esuberi forzati avvenuti dopo la "ristrutturazione" di molte aziende (spesso inutili esercizi di riassetto interno) che hanno visto diversi dirigenti divenire molto ricchi nel giro di una sola notte.
Questo movimento sociale, disunito ma molto esteso che, secondo le stime del governo stesso, è composto da decine di migliaia di proteste collettive a cui partecipano diversi milioni di cittadini ogni anno è definito in Cina wei quan, o Movimento per la difesa dei diritti. Con i fatti, tuttavia, esso si è guadagnato il diritto ad essere chiamato "Movimento emergente cinese per i diritti civili".
La forza del nuovo Movimento si può individuare nella sua totale mancanza di retorica politica e nel fatto che esso si concentra su questioni come la giustizia sociale, il tenore della vita dei cittadini ed i problemi che nascono dai governi locali, non da Pechino. Questo gli ha permesso contrariamente a quanto avvenuto al Movimento per i diritti umani, che il governo è riuscito ad emarginare negli ultimi anni di ottenere un largo sostegno da parte delle comunità locali, dove gli sforzi del wei quan nascono e si sviluppano.
Per di più, un buon numero di membri della società avvocati per i diritti umani, accademici, sociologi, giornalisti investigativi ed anche alcuni deputati locali hanno iniziato ad appoggiare i gruppi locali a difesa dei diritti civili. Una sinergia importante fra la base e l'elite della società sta emergendo in maniera graduale, dando ancora più impeto alle richieste di maggior protezione dei diritti civili.
Molti gruppi del wei quan cercano una base comune con il governo centrale, che ha più volte sottolineato l'importanza che deve essere riservata alle questioni correlate alla giustizia sociale ed alla costruzione di una "società armonica". Pechino potrebbe anche ricambiare questo desiderio di una base comune. Vi sono stati infatti segnali, anche se vaghi, di una gestione più tollerante nei confronti di queste campagne sociali nate dalla volontà delle comunità locali. La repressione per opera della polizia avviene ancora, ma tende ad essere più sporadica e meno dura rispetto a quella di cinque o dieci anni fa.
Ma se Pechino ha tolto il cartellino verde "alla normale repressione delle proteste pubbliche" in almeno alcuni dei casi di proteste sociali al momento in corso, una nuova minaccia ai diritti civili dei cittadini ha da poco iniziato ad emergere: l'impiego da parte dei poteri locali di teppisti armati e gruppi simili a quelli dei vigilanti che vengono usati per intimidire e disperdere gli attivisti.
Scene di questo tipo si sono verificate nel famoso villaggio di Taishi, nel Guangdong, dove avvocati, accademici ed attivisti locali sono stati malmenati da gruppi di "giovani non identificati". Allo stesso modo, dopo una pubblica protesta portata avanti da dozzine di lavoratori migranti che chiedevano i loro stipendi arretrati a Chengdu ed a Xian, gruppi di uomini armati sono stati mandati per fermarli con la forza. Gao Zhisheng, famoso avvocato ed attivista per i diritti umani, è stato oggetto di un attentato alla sua vita ad opera di una "macchina non identificata" per le strade di Pechino, lo scorso anno. Ancora peggio, a Dingzhou, nella provincia centrale dell'Hebei, circa 250 civili armati hanno attaccato un gruppo di agricoltori che chiedevano il giusto risarcimento per la terra che gli era stata confiscata: ne sono morti almeno sei per mano di questi "sconosciuti". Una Corte di giustizia ha più tardi scoperto che l'attacco era stato ordinato dal segretario del Partito comunista locale.
L'obiettivo generale, chiaramente, è quello di convincere con la paura gli attivisti a rimanere in silenzio davanti agli abusi contro i diritti ed alla violazione od addirittura la negazione degli interessi comuni. Che gli ufficiali locali del Partito siano o meno coinvolti nelle violenze contro i cittadini, rimane il fatto che, nei casi sopra riportati, la polizia si è limitata a guardare cosa stava accadendo, senza intervenire.
Nel passato, nonostante un sistema legale difettoso, le autorità, quanto meno, garantivano "un equo processo" a coloro che venivano ritenuti "causa di problemi sociali" e "contro-rivoluzionari". I dissidenti venivano portati davanti ad una Corte che li condannava alla detenzione o venivano costretti alla "rieducazione tramite il lavoro" nei laogai. La recente introduzione delle bande armate "non ufficiali" nella gestione delle campagne dei wei quan indicano una preoccupante progressione verso l'illegalità totale. Questa scelta rema contro l'obiettivo dichiarato del governo centrale, quello di "costruire una società stabile ed armoniosa basata sulla legge".
L'unica risposta chiaramente visibile alle richieste pubbliche di una maggiore protezione dei diritti civili sarebbe, da parte di Pechino, solo quella di garantirli. Questo, al posto dell'uso della violenza, è l'unica via percorribile per ridurre e disinnescare la crescente protesta popolare che avviene in tutta la Cina.