Cina e India accusate di ostacolare un accordo mondiale per il commercio
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Gli Stati Uniti accusano Cina e India di non voler eliminare le imposte sull’importazione di alcuni prodotti industriali e agricoli e di impedire così l’attuazione degli accordi di Doha del 2001 e rendere inutile la riunione in corso dal 21 luglio a Ginevra (Svizzera) tra i rappresentanti di 30 importanti membri dell’Organizzazione mondiale del Commercio (Omc).
Il rappresentante Usa David Shark lamenta che “se questi 2 Paesi non cambiano subito direzione per contribuire a risolvere i problemi piuttosto che porre ostacoli, ce ne andremo tutti a mani vuote”.
L’obiettivo dichiarato della riunione è di eliminare i sussidi dei singoli Stati agli agricoltori e tagliare le imposte per l’importazione di prodotti agricoli e manifatture. Gli Stati Uniti, pressati per tagliare i sussidi agli agricoltori e ridurre le imposte in settori come automobili e tessile, chiedono in cambio che anche i Paesi in via di sviluppo aprano di più i loro mercati, ma India, Cina e altri rispondono che ciò colpirebbe economie ancora instabili e ricaccerebbe milioni di persone nella povertà.
Ieri Pechino ha detto che non saranno abbassate le imposte all’importazione per 3 prodotti chiave come riso, cotone e zucchero. Nei giorni precedenti faticose negoziazioni prevedevano un taglio del 36% per le imposte alle importazioni agricole praticate dai Paesi in via di sviluppo, sia pure con la possibilità di mantenerle in tutto o in parte per alcuni prodotti ritenuti da ogni Stato di speciale rilievo.
La Cina si è pure rifiutata di trattare in modo separato la proposta di togliere le imposte per particolari prodotti industriali, irritando Thailandia, Taiwan, Uruguay e Paraguay.
Il 25 luglio l’Omc ha anche condannato la Cina perché impone tariffe elevate all’importazione di parti separate di autoveicoli, superiori a quelle previste per i veicoli completi. Usa, Canada ed Europa lo considerano un espediente protezionista, perché favorisce i prodotti cinesi e costringe le ditte estere a spostare in Cina la produzione dei componenti. Ora Pechino può fare appello e così rinviare l’applicazione del divieto. Il mercato automobilistico cinese ha un giro di 12 miliardi di euro, terzo dopo Usa e Giappone, in gran parte ancora coperto dalle importazioni.