Cina, oltre 312 milioni di agricoltori non hanno acqua potabile
L'acqua contiene arsenico, fluoro e altre sostanze chimiche. Lo dice il ministro per le Risorse idriche. Storia di Sugai, piccolo villaggio sommerso dai rifiuti chimici di due cartiere.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) L'acqua di 312 milioni di agricoltori cinesi è contaminata da fluoro, arsenico e altri rifiuti organici o industriali. Lo ha detto il 4 settembre scorso Wang Shucheng, ministro per le Risorse idriche.
Wang ha aggiunto di voler fornire acqua potabile a 160 milioni di agricoltori entro 5 anni e a tutti per il 2015, con un impegno economico di 40 miliardi di yuan (circa quattro miliardi di euro) in 10 anni. Nelle zone contaminate da sostanze chimiche saranno costruiti impianti di depurazione.
Gli esperti osservano però che il primo problema è non aumentare l'inquinamento e ricordano il recente caso di Sugai, piccolo villaggio di 57 case presso il Fiume Giallo (Mongolia Interna), che il 10 aprile è stato inondato da un lago nero e maleodorante.
Nei pressi del villaggio lavorano due cartiere, la Saiwai Xinghuazhang Paper Company e la Meili Beichen Paper Company, che per decenni hanno scaricato liquami nel Fiume Giallo. Quando cinque anni fa questo è stato vietato, i liquami sono finiti in un canale di drenaggio, collegato con l'intricato sistema per l'irrigazione e la protezione contro le inondazioni. Nel giugno 2004 i responsabili di questo sistema hanno convogliato più acqua nei canali e la massa di liquami è finita nel fiume: decine di migliaia di pesci sono morti e la città di Baotou, a valle, è rimasta per giorni senza acqua potabile.
I media applaudirono il deciso intervento delle autorità: condanna delle due fabbriche e dei responsabili per l'irrigazione a pagare 300 mila dollari a Baotou ed ordine di chiusura delle fabbriche per dotarsi di un sistema per trattare le acque reflue.
Ma i funzionari locali di Urad Qianqi, nel cui territorio sono gli impianti, hanno fatto costruire solo un bacino temporaneo dove raccogliere i liquami. Li Wanzhong, direttore dell'Ufficio per la protezione ambientale della Mongolia interna, ha definito questo bacino "una minaccia per il fiume" ed ha ordinato la chiusura delle fabbriche. Ma nessuno le ha chiuse.
Lo scorso aprile una violenta tempesta ha minacciato di spingere i liquami nel Fiume Giallo. I funzionari locali, per impedire un nuovo inquinamento, hanno fatto rompere le pareti del bacino e convogliato i liquami in una striscia di oltre 4 chilometri dietro il fiume, dove sorgono diversi villaggi, tra cui Sugai, senza nemmeno avvertire gli abitanti.
Dopo oltre 3 mesi le case rimangono inabitabili e larghe pozze di liquame ristagnano in quelli che erano fertili campi coltivati. Gli abitanti non hanno più casa, non possono coltivare i campi e hanno eruzioni cutanee sulle gambe con un forte prurito.
Jia Yingxiang, segretario del Partito comunista di Urad Qianqi, ha spiegato che gli impianti anti-inquinanti erano "troppo costosi" e che "vi era bisogno di riaprire le fabbriche per dare lavoro a molte famiglie". Dopo i fatti di aprile, un rapporto del governo ha stabilito che il bacino di contenimento è stato costruito per risparmiare, con mura poco alte.
Da anni l'Amministrazione statale per la protezione dell'ambiente (Sepa) protesta che gli uffici locali per la protezione ambientale dipendono in via diretta dai governi locali, che spesso non seguono le indicazioni di Pechino e hanno interesse a proteggere le industrie inquinanti per consentire lo sviluppo economico o perché corrotti.
Zhang Lijun, vice direttore Sepa, ha raccontato: "Abbiamo sentito molte persone protestare dicendo: funzionari non puliti, acqua non pulita". Ad agosto uno studio della Sepa ha accertato che l'80% delle 7.555 fabbriche più inquinanti sorgono su fiumi, laghi o in aree molto abitate. (PB)