Cina, l’invecchiamento della popolazione mette a rischio la crescita economica
Gli economisti cinesi lanciano l’allarme: la politica del figlio unico e l’inadeguato sistema pensionistico rischiano di fermare lo sviluppo industriale. Per mettere in pareggio la situazione, servirebbero oltre 915mila miliardi di yuan.
Pechino (AsiaNews) – La vera minaccia alla crescita economica della Cina è l’invecchiamento della popolazione, che mina la stabilità sociale e mette a serio rischio la possibilità di mantenere la forza lavoro ai livelli attuali. Lo sostengono economisti e sociologi del Paese asiatico, che puntano il dito contro l’inadeguato sistema pensionistico nazionale e la politica del figlio unico, la legge che dagli anni ’70 impone alle coppie cinesi di avere un solo figlio.
Secondo il ministro del Lavoro e quello della Sicurezza sociale, entro il 2030 il 23% della popolazione avrà più di 60 anni. Si tratta di 351 milioni di nuovi pensionati, che andranno a gravare sulle casse dello Stato. Di conseguenza, aumenterà anche la percentuale del numero di cittadini non lavoratori a carico degli altri. Al momento, il rapporto è di 3 lavoratori per 1 pensionato; fra 20 anni, arriverà a 2 per 1.
Zhuang Jiang, economista dell’Asian Development Bank, spiega: “Mentre cresce il numero di anziani, non si vedono importanti cambiamenti nel sistema pensionistico nazionale. Questo sembra non prevedere i fondi adeguati alla necessità: in questo modo si minaccia lo sviluppo economico futuro e si rischia di non riuscire a formare una vera società armoniosa”. Il riferimento è allo slogan preferito del presidente Hu Jintao, che motiva le sue politiche (anche repressive) con la necessità di portare l’armonia nel Paese.
Il fenomeno metterà in pericolo persino il sistema di risparmio dei privati, fattore portante degli investimenti che hanno creato il boom economico cinese. Le stime della One World Bank parlano di un calo dei risparmi tale da abbassare di 6 punti percentuali il Prodotto interno lordo entro il 2025. Un altro studio sui cambiamenti demografici prevede inoltre che persino i salari sono destinati a scendere. La crescita dei salari (collegata al Pil) era del 5,3% annuo nel 2000; per il 2020 è prevista una crescita massima del 2,9.
Questi ricaschi sull’economia interna sono direttamente collegati alla mancanza di un adeguato sistema pensionistico. L’economia pianificata, cardine dei regimi comunisti, prevede per i lavoratori cinesi una pensione fornita e garantita dallo Stato non collegata alle tasse versate dal lavoratore. In pratica, la politica del “pugno di riso in una ciotola di ferro”, lanciata nel 1978, non ha stabilito un fondo pensioni: anno per anno, Pechino destina una parte (in aumento costante) del proprio budget per gli anziani.
Soltanto il 31% della popolazione ha accesso però a questi fondi: i migranti non sono tenuti in considerazione, e i contadini ricevono introiti così bassi da essere praticamente inesistenti. Secondo il ministero delle Risorse umane, sarebbe necessario un investimento pari a 2500 miliardi di yuan per mettere in piedi un sistema pensionistico. Ma la Banca Mondiale ha confutato questi dati: sulla base dell’età media nazionale, ne servirebbero almeno 915mila. Un numero pari al 150% dell’intero bilancio nazionale dello scorso anno.
A questa mancata programmazione si aggiungono poi gli scandali legati alla corruzione: ha fatto molto rumore quello della municipalità di Shanghai, il cui sindaco fece sparire milioni di euro destinati ai pensionati, paralizzando il bilancio interno fino all’intervento del governo centrale. Secondo Zhuang, questo problema sottolinea anche una contraddizione: “A differenza delle altre economie in via di sviluppo, la Cina non ha capitali umani su cui investire. E questo provoca degli scompensi molto forti”.
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