Chouf, la ‘riconciliazione della Montagna’ si tinge di una nota amara
Il 2 agosto è l’anniversario della storica “riconciliazione della Montagna” tra cristiani e drusi. I cristiani tuttavia non tornano ancora nei villaggi, teatro di massacri durante la guerra civile libanese. Al presente, alcuni politici spingo alla rivalità tra le comunità.
Beirut (AsiaNews) – Nel corso della guerra civile libanese il territorio montuoso dello Chouf, nel 1983, fu teatro di sanguinosi scontri tra cristiani e drusi del Partito socialista progressista (Psp). Il 2 agosto 2001 si corona il lungo processo di pace tra le parti noto come “la riconciliazione della Montagna”. Il percorso di pace viene seguito e voluto dal patriarca maronita Nasrallah Sfeir che si incontrò con il capo del Psp, Walid Joumblatt. Dopo 17 anni da quella storica riconciliazione molti cristiani non sono ancora tornati ad abitare nei loro villaggi. Il parroco del villaggio di Brih spiega: “Siamo molto contenti della riconciliazione, ma quando arriviamo all'aspetto finanziario, siamo tristi nel vedere che ci sono persone che non hanno ancora una casa per mancanza di mezzi (...). il Ministero che si occupa degli sfollati è molto corrotto”.
Lo sceicco Jamil della località di Abey, 80 anni, spiega: “La riconciliazione ha successo qui, non ci sono problemi tra noi. Purtroppo, sono pochissimi cristiani che sono tornati. Alcuni di loro vengono a trovarmi di tanto in tanto, ma ora vivono a Beirut per lavoro”.
Di seguito, il commento di Fady Noun sulla situazione attuale della riconciliazione nella regione.
Nella memoria nazionale, il 2 agosto è legato quello che noi chiamiamo “la riconciliazione della Montagna”, una grande festa segnata dalla visita trionfale del patriarca maronita Nasrallah Sfeir à Moukhtara, la roccaforte di Walid Jumblatt, nel 200, e la decisione di voltare definitivamente pagina della “guerra della Montagna” che è scoppiata il 3 settembre 1983 (dopo la ritirata dell’esercito israeliano, che aveva invaso il Libano nel 1982) tra i militari drusi del Partito socialista progressista (Psp) e i militari cristiani delle Forze libanesi. Ora, questo ricordo oggi si tinge d’amarezza.
La “guerra della Montagna” ha provocato la deportazione di massa delle popolazioni cristiane di Chouf-Aley e Alta Metn, e alcune parti del sud del Libano (Iqlim al-Kharroub e villaggi ad est di Sidone). Questo è stato l’episodio di una guerra più grande che ha devastato il Libano dal 1975 e nel quale la Siria di Hafez el-Assad è stata uno degli attori, come ha ricordato giustamente l’ambasciatore di Francia Emmanuel Bonne (ottobre 2016) in un discorso memorabile pronunciato in occasione della consegna della Legion d’onore a Samir Frangié.
“Nel 1990, è finita la guerra e la Siria di Assad prevale. Il Libano ottiene la pace, ma viene imposta anche una forte tutela”, afferma il diplomatico. “Per alcuni è il prezzo da pagare, il prezzo della pace, ma per lei (Samir Frangie), è inaccettabile, è insopportabile. I libanesi devono decidere da soli. Devono essere riconciliati. Tuttavia, il regime siriano li divide ancora, per giustificare meglio il proprio controllo sul Paese che sta occupando con brutalità e saccheggiando senza ritegno. Lei ha deciso dunque di consacrarsi interamente a una riconciliazione nazionale che per lei è anche una lotta di liberazione. In questa impresa difficile, lei ha avuto tutto il sostegno del patriarca Sfeir con il quale è legato da una forte stima reciproca”.
“Questi anni di piombo sembrano arrivare quando gli israeliani si sono ritirati dal Libano il 25 maggio 2000. La liberazione è un grande momento di unione nazionale. All’improvviso, la presenza siriana in Libano sembra essere molto più pesante e più discutibile. Nel settembre 2000, il patriarca Sfeir e i vescovi hanno lanciato l’appello di Bkerké chiedendo ‘una ridistribuzione delle truppe siriane’ alla quale lei ottiene che vengano aggiunte le parole seguenti ‘in vista del loro ritiro dal Libano’. Il messaggio venne evidentemente mal accolto a Damasco, ma galvanizzò i libanesi e innescò una rivendicazione sovranista (…). Voi avete operato anche alla riconciliazione della Montagna, tra drusi e cristiani, che vi sta particolarmente a cuore”.
Certamente, dopo l’accordo di Taif e la normalizzazione avviata, un processo formale di riconciliazione locale aveva preso slancio nei territori de la Montagna. Questo processo è stato portato avanti caso per caso e faceva parte di un contesto più ampio di ripristino dell’autorità statale e di ricostruzione del tessuto sociale. Tuttavia, mancava un forte sostegno morale che potesse incoraggiare le popolazioni cristiane, ancora esitanti, a ritornare ai loro villaggi con fiducia. La storica visita del patriarca Sfeir al capo del Psp è stata pianificato con questo spirito.
Col senno di poi, i collaboratori del patriarca emerito assicurano che “questo approccio aveva coronato anni di sforzi da parte del patriarca Sfeir”. “Dopo la sua elezione, quest’ultimo era ossessionato dell’inaccettabile tutela siriana, egli aveva favorito con ogni mezzo tutto ciò che poteva porvi fine e a costruire ponti tra i leader cristiani e tra i leader politici di tutte le comunità”, spiegano le fonti.
Lo spirito di riconciliazione nazionale, pensava lui a ragione, è degno di fiducia, e la sua edificazione è un lavoro di tutti i giorni. Purtroppo, “un discorso politico trionfalista, che inscrive le comunità in un rapporto di rivalità e non di cooperazione, sta ora minando questo processo”, dice una fonte vicina al campo dei sovranisti. Il processo di formazione nel nuovo governo, pieno di dichiarazione fastidiose e contrarianti per alcune comunità, è in parte un segno chiaro di ciò. “Questi dati – dichiara una fonte politica drusa – frenano oggi il processo di riconciliazione nazionale”. “Il trionfalismo comunitario si esprime sia nel linguaggio politico che in quello religioso” aggiunge la fonte. “Mina la fiducia che le comunità devono avere l’una nell’altra; è probabile che porti a nuove interferenza da parte di ex padroni come la Siria, abili nell’arte del divide et impera”.