Chiesa libanese apre causa ‘virtù eroiche’ del filosofo (e martire) Kamal el-Hage
Ucciso con un colpo di ascia a Chbanieh (Haut-Metn) nel 1976. Egli potrebbe essere riconosciuto come “martire della fede”; avviato il processo diocesano. La sua morte dai forti connotati simbolici. Aveva deciso di restare in un Paese in guerra, spendendosi per il dialogo e la riconciliazione fra fazioni rivali.
Beirut (AsiaNews) - L’arcivescovo maronita di Antelias, mons. Antoine Bou Najem, ha ufficializzato l’apertura di una procedura diocesana per riconoscere le virtù eroiche del filosofo libanese Kamal el-Hage (1917-1976) , prima tappa di una futura proclamazione di “martire della fede”. L’annuncio è giunto durante una messa celebrata a Chbanieh (Haut-Metn) il 2 aprile scorso, anniversario del suo assassinio avvenuto nel 1976 all’età di 59 anni. In quel fatidico giorno, quell’uomo razionale e misurato era di ritorno a casa da un incontro di riconciliazione fra due fazioni druse rivali del suo villaggio, quando viene prelevato con tutta probabilità da elementi armati palestinesi in lotta a fianco dei drusi. Secondo le ricostruzioni dell’epoca, egli viene portato in un bosco lontana dalle case e ucciso, con un gesto dai forti connotati simbolici, con un colpo di ascia sul cranio.
Figlio di Youssef Boutros el-Hage, un letterato ben introdotto nella società, e iniziato della massoneria del suo tempo prima di voltarle le spalle, Kamal el-Hajje nasce nel 1917 a Marrakesh, in Marocco, dove i genitori si erano stabiliti, dopo essere fuggiti dal Libano per motivi economici. Anche forse a causa delle minacce che erano giunte alla famiglia a causa del voltafaccia del padre alla massoneria locale. Al riguardo, Youssef el-Hage pubblicherà poi un clamoroso resoconto del suo tempo trascorso nella massoneria e intitolato: “Il tempio di Salomone e il focolare nazionale degli ebrei”.
Una scolarizzazione movimentata
Il tempo trascorso a scuola dal giovane Kamal sarà assai movimentato e burrascoso. Prima di tutto, egli è costretto a seguire i genitori nel loro peregrinare fra Marocco ed Egitto, prima di tornare in Libano nel 1929 all’età di 12 anni. Gli studi complementari e secondari li effettua in un primo momento dai gesuiti ad Achrafieh, poi alla Prep School (progenitrice dell’attuale International College) a Ras Beyrouth.
Dopo aver completato la carriera scolastica, deve sospendere gli studi per tre anni per motivi economici. Negli anni ‘50 frequenta il “Cenacolo dei 12”, che in seguito diventa il Cenacolo libanese: un circolo frequentato da alcuni fra gli intellettuali più in vista del periodo come Michel Asmar, Ruchdi Maalouf, Ahmad Makki, Khalil Ramez Sarkis, Karim Azouri.
Tre anni più tardi si iscrive a Lettere all’Università americana, a dispetto della sua predilezione assodata per la filosofia. Fin dai primi anni, poi, egli si cimenta con la traduzione dell’opera del filosofo Henri Bergson “Saggio sui dati immediati della coscienza” [la sua tesi di dottorato] che gli è valsa l’attenzione del celebre orientalista Louis Massignon. Passo dopo passo, quest’ultimo si impegna di persona per fargli avere una borsa di studio alla Sorbona. Pochi anni dopo, egli ottiene un dottorato di Stato in filosofia con una tesi su “Il valore del linguaggio in Henri Bergson”.
Una cattedra a Kaslik
Kamal el-Hage, i cui compagni di corso erano Charles Malek e il futuro patriarca Hazim, è stato anche uno dei fondatori dell’università dello Spirito santo dell’Ordine dei monaci maroniti (Usek, 1950) e dell’Università libanese (Ul, 1951). Quest’ultima gli deve anche la nascita del Dipartimento interno di filosofia. Egli ha vissuto dei suoi scritti e ha insegnato una vita modesta, ma piena di ardore a livello spirituale tanto che il rosario non ha mai abbandonato il suo collo, né il pensiero di Dio il suo spirito interiore. Suo figlio, Youssef el-Hage, ora professore universitario, ha curato la pubblicazione completa delle sue opere e si è speso, con successo, per l’intitolazione a Kamal el-Hage di una cattedra all’università dello Spirito santo (Usek).
Di lui il defunto vescovo di Antelias mons. Camille Zeidan, che molto ha creduto nella sua causa, ha scritto in passato: “Se il Concilio Vaticano II precisa che il martire ‘ è considerato dalla Chiesa come la prova suprema della carità’ (Lumen Gentium 42), allora Kamal el-Hage ha dato prova di una perfetta carità […]. Egli avrebbe potuto facilmente abbandonare il suo villaggio e la regione, piombata nella guerra, ma ha deciso di restarvi, pur sapendo in piena coscienza che aveva molto di cui temere per la propria sicurezza. La sua morte testimonia appieno il suo impegno cristiano”.
Nell’omelia pronunciata in occasione della messa di apertura del processo diocesano, l’arcivescovo Antone Bou Najem ha aggiunto dal canto suo: “Certo, Kamal el-Hage ha insegnato la filosofia e i filosofi, ma il suo martirio è stata la lezione più importante che egli ci ha lasciato, Essa ci dice che se il grano caduto per terra non muore, esso resta solo e fine a se stesso, ma se muore, porta molti frutti. Ecco, questa è la filosofia di Gesù Cristo: quella del chicco di grano”.
10/06/2021 13:14