Chiesa filippina: dopo la legge marziale, fare giustizia per le vittime di Maguindanao
Manila (AsiaNews) – I vescovi filippini accolgono “con sollievo” la fine della legge marziale a Maguindanao, annunciata lo scorso 12 dicembre dalla presidente Arroyo. Ma chiedono al governo “urgenti misure di sicurezza” per catturare i responsabili del massacro del 23 novembre, dove hanno perso la vita 57 persone. Per mons. Angel Lagdameo, arcivescovo di Jaro ed ex presidente della Conferenza episcopale filippina ora la principale preoccupazione “deve essere quella di portare giustizia alle famiglie delle vittime”.
La legge marziale nella Regione autonoma a maggioranza musulmana di Mindanao (Armm) era stata proclamata tra le polemiche lo scorso 5 dicembre. Nei giorni scorsi proteste della popolazione e accuse di incostituzionalità da parte di autorità politiche ed ecclesiastiche,hanno portato alla sua abrogazione. Durante i sette giorni di applicazione della legge l’esercito ha arrestato un totale di 523 persone. Le operazioni condotte da militari e polizia nazionale hanno portato alla luce altri tre omicidi multipli avvenuti in passato, per un totale di 247 denunce di violenze presentate al Dipartimento di giustizia (Doj). Queste erano state archiviate in precedenza dalla polizia locale in combutta con i clan che controllano la regione.
Resta però lo stato di emergenza nelle province di Maguinandao, Cotabato e Sultan Kudarat. Oltre 4 mila militari presidiano l’area controllata dall’ex governatore dell’Armm, Andal Ampatuan sr. Questi è considerato il principale mandante del massacro dei sostenitori di Ishmael “Toto” Mangudadatu, suo rivale nella corsa alla presidenza del governatorato per le elezioni del 2010. Ampatuan è anche accusato di aver utilizzato i fondi pubblici per scopi personali quali il sostegno del proprio esercito privato, la costruzione di ville e l’acquisto di auto di lusso. Il 98% della entrate dell’Armm derivano da fondi statali e progetti internazionali.
Secondo p. Albert Alejo, rettore della Catholic University di Zamboanga, il governo dovrebbe compiere serie verifiche anche in merito all’utilizzo dei fondi concessi dall’Asian Development Bank e dalla Banca Mondiale. “Gli Amputuan e i loro alleati non possiedono piantagioni o altre attività che consentano loro l’attuale tenore di vita – afferma p. Alejo – essi non abitano nella città di Davao, ma possiedono lì numerose proprietà e ville”. “E’ necessaria un’interruzione dei fondi internazionali – continua il sacerdote – perché questi servono solo per mantenere i signori della guerra”.