Cattolico pakistano: nonostante le minacce dei talebani, lavoriamo per il bene del Paese
Le minoranze religiose e la comunità cristiana vittime di una campagna intimidatoria. I fondamentalisti impongono la conversione all’islam e il pagamento di somme di denaro. Segretario della Commissione cattolica di giustizia e pace sottolinea l’impegno a favore della popolazione e rivendica il valore supremo della “laicità dello Stato”.
Lahore (AsiaNews) – “In passato abbiamo ricevuto numerose telefonate e lettere minatorie, ma finora non è successo nulla di grave”. È quanto afferma ad AsiaNews Peter Jacob, segretario esecutivo della Commissione nazionale di giustizia e pace (Ncjp) della Chiesa cattolica in Pakistan. L’attivista conferma che “la situazione è delicata ed è evidente un clima di tensione”, ma sottolinea anche la volontà di “continuare il nostro lavoro per il bene del Paese e della gente”.
Nelle scorse settimane i talebani hanno minacciato esponenti delle minoranze religiose del Paese e volontari di organizzazione non governative, impegnati nell’opera di assistenza ai profughi della valle di Swat. Anche la comunità cristiana è finita nel mirino dei fondamentalisti, i quali impongono la conversione all’islam e il pagamento di somme di denaro: “chi non esegue gli ordini – avvertono i talebani – verrà ucciso”.
Peter Jacob parla di minacce di sequestri “con lo scopo di estorcere denaro” e conferma una “situazione generale che desta preoccupazione, ma questo non ci impedisce di proseguire la nostra opera”. Egli ribadisce “l’importanza delle organizzazioni impegnate nell’assistenza ai rifugiati” dello Swat e nella divisone di Malakand, ai quali forniscono cibo, acqua e generi di prima necessità. “Per i tre milioni di rifugiati – continua l’attivista cattolico – è iniziato il lento rientro nelle zone di origine. I militari controllano gran parte del territorio e, sotto l’impulso del governo, hanno profuso uno sforzo massiccio per sradicare l’estremismo. Ma resta ancora molto da fare per la pace nel Paese”.
Il segretario esecutivo di Njcp spiega che il Pakistan “vive una fase di transizione nel processo di democratizzazione” ed è fiducioso che il governo possa “risolvere il conflitto e migliorare le condizioni di sicurezza”. Per raggiungere l’obiettivo è necessario il contributo “di tutte le forze politiche del Paese”; anche le minoranze, fra cui quella cristiana, sono chiamate a “far valere la propria presenza e a rivendicare i propri diritti”, diventando un “elemento di forza e visibilità”. “Dobbiamo sradicare il fondamentalismo religioso – afferma – e favorire il processo di riconciliazione. Cristiani e musulmani devono lavorare per un obiettivo comune, ed è il compito che ci siamo fissati come membri di Ncjp”, a dispetto di minacce e attacchi da parte dell’ala radicale.
Per il futuro, Peter Jacob è fiducioso, perché vi sono ancora “margini di speranza”. “La situazione è difficile – spiega – ma sono problematiche alle quali deve far fronte tutto il Pakistan perché riguardano la povertà (il 30% della popolazione vive al di sotto della soglia minima di sopravvivenza, ndr), l’analfabetismo che interessa il 48% degli abitanti, l’inflazione in crescita”.
“Per questo – conclude Peter Jacob – è ancora più importante che la religione diventi un fattore di unità. Questa è la nostra richiesta, il nostro obiettivo e la base del nostro lavoro”. Esso è legato in maniera inscindibile con il valore supremo “della laicità dello Stato”, che deve eliminare tutti gli aspetti legati al “fondamentalismo religioso: per il Pakistan vogliamo un futuro migliore”.
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