Cattolici e buddisti thai discutono di testamento biologico e diritto alla vita
di Weena Kowitwanij
Nel Paese si stila un progetto di revisione costituzionale della legge sul fine vita. Il diritto a fissare un limite alle terapie non deve ledere il valore supremo della dignità umana. Monaco buddista invita ad accettare “dolore e malattia”; sacerdote cattolico sottolinea l’importanza della “cura spirituale”.
Bangkok (AsiaNews) – “Il giorno prima che morisse, sono andata al mare con mio figlio. Sulla via di casa, egli ha appoggiato la sua testa sulla mia spalla e mi ha detto ‘Mamma, sono così felice oggi’. L’indomani è spirato in modo sereno fra le mie braccia”. È quanto racconta ad AsiaNews una madre, il cui figlio di 10 anni è morto di leucemia dopo una lunga malattia. “Ricordo ancora – aggiunge Rangsima Boonyabhum – le sue ultime parole… ‘Ciao… mamma’”.
In Thailandia si discute di testamento biologico e fine vita, oggetto di un convegno organizzato dall’Ufficio del Comitato nazionale sulla sanità. Durante gli incontri si è parlato del “diritto di autodeterminazione” e del “diritto di rifiutare le cure” per malati terminali. I partecipanti hanno inoltre espresso pareri e impressioni in merito alla National Health Act del 1997 che, al paragrafo 12, sancisce il diritto del malato a fissare i limiti di cura in caso di coma o stato vegetativo. Esso prevede inoltre che siano autorizzate “terapie che mettano fine al dolore”.
Chatree Charoensiri, segretario generale dell’Ufficio del Comitato Nazionale sulla Sanità, precisa che nella revisione del paragrafo 12 della legge vanno presi in esame diversi elementi, fra i quali “la legge, la società, la cultura e la religione”, per non scatenare “conflitti” e garantire “ai malati la scelta”. Al termine del convegno – spiega il medico – il Comitato elaborerà una bozza “da sottoporre all’esecutivo per l’approvazione”.
L’associazione mondiale dei medici garantisce il diritto all’autodeterminazione del malato; la Costituzione thai e il progetto di revisione della legge fanno però un preciso riferimento alla dignità umana e al diritto alla vita.
Phra Phaisan Visalo, monaco buddista, sottolinea che “il dolore, la disabilità e la malattia non vanno considerati dei nemici, ma accettati con saggezza”. Egli precisa che “le persone devono morire di morte naturale” senza interventi esterni o strumenti che costituiscono “una eutanasia passiva”; al di sopra di tutto, aggiunge, vi è il rispetto per la vita.
John Baptist Siranon Sanpetch, direttore dell’ospedale San Camillo nella diocesi di Ratchaburi, apprezza le basi poste dall’articolo 12, ma chiarisce che un eventuale testamento biologico deve “rendere più agevole il consenso fra medico e paziente sul tipo di cura da somministrare”. Il medico deve continuare a lenire i sintomi della malattia, ma a questi elementi va unita “la cura spirituale e il sostengo dei parenti”.
Toemsak Phungrasami, oncologo in un centro della provincia di Songkhala, chiarisce che è doveroso inserire il respiratore al paziente, anche se questo serve a mantenerlo in vita “per un giorno solo”. È giusto che il malato “possa dire addio ai parenti, agli amici”. “Morire di morte naturale – conclude – è il modo migliore, il paziente riceverebbe solo la cura indispensabile per lenire i sintomi de momento”.
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