Campagna di rinnovamento, sparisce il monumento nazionale a Chiang Kai-shek
Su suggerimento del Gabinetto presidenziale, il governo ha approvato un decreto che rettifica il nome della Sala in memoria del Generalissimo e la trasforma in Sala della democrazia. Proteste dai nazionalisti del Kuomintang.
Taipei (AsiaNews/Agenzie) – Il governo taiwanese ha approvato ieri un decreto che “rettifica” il nome della Sala in memoria di Chiang Kai-shek, una delle maggiori attrazioni turistiche di Taipei, e lo trasforma in Sala della democrazia di Taiwan.
Secondo la portavoce del Gabinetto presidenziale Chen Mei-ling, il monumento (al momento chiuso per lavori) verrà riaperto “al più presto, anche se i dettagli tecnici sono affidati al ministero dell’Educazione”. Il complesso include una statua dedicata alla democrazia, un parco, una sala per concerti ed un arco, tutti nello stile cinese classico. Non è chiaro che fine verrà riservata al gigantesco bronzo che ritrae Chiang Kai-shek.
La decisione ha scatenato una serie di reazioni da parte di tutto il mondo politico taiwanese. I democratici, guidati dall’attuale presidente Chen Shui-bian, applaudono alla decisione che “rientra nella rilettura storica di Chiang Kai-shek, un assassino ed un dittatore”, mentre gli oppositori del Kuomintang (i nazionalisti “eredi” del Generalissimo) parlano di “svendita della memoria”. Pan Wei-kang, deputato nazionalista, ha definito la “rettifica” del nome “l’ennesimo tentativo di cancellare l’eredità che ci ha lasciato il generale Chiang, sfruttato per compiacere gli elettori che vogliono l’indipendenza della Cina senza alcun rispetto per il resto della popolazione”.
La decisione di cambiare il nome della Sala rientra in una più ampia campagna di “rinnovamento” promossa dal Partito democratico. Nel corso della campagna, già diverse aziende statali - fra cui quella dei trasporti pubblici - hanno cambiato nome, eliminando ogni riferimento alla Cina continentale. Lo stesso avviene per i francobolli ufficiali dell’isola, indipendente de facto dal 1947.
Da parte sua, Pechino teme questa nuova ondata di revisionismo che attacca ancora una volta i legami con “la madrepatria”. Per la Cina continentale, l'isola è solo una provincia ribelle che deve essere riunificata, anche con l'uso della forza, al resto della nazione.
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