Calma tesa a Ulaan Baatar, mentre si attendono i risultati elettorali ufficiali
Ulaan Baatar (AsiaNews/Agenzie) – E’ tornata la calma a Ulaan Baatar, dopo le auto incendiate, le devastazioni e i violenti scontri tra oltre 8mila manifestanti e la polizia la notte del 1° luglio, che hanno causato almeno 5 morti, oltre 300 feriti e più di 700 arresti. Perdura la legge marziale, ma la polizia è rientratata nelle caserme, dopo avere ieri pattugliato le strade, e il ministro per la Giustizia Tsend Munkh-Orgil definisce la situazione “stabile e senza pericolo immediato di violenza”.
Il vescovo Wenceslao Padilla, prefetto apostolico della Capitale, parlando ieri a UCA News ha invitato i circa 520 cattolici del Paese a “rimanere al sicuro a casa”, dispensandoli anche dall’obbligo della messa domenicale, se si prolungherà lo stato di emergenza e ci dovesse essere effettivo pericolo. “E’ stato scioccante – ha aggiunto – vedere carriarmati militari e soldati disposti nel centro città”.
Ancora non ci sono i risultati ufficiali delle elezioni del 29 giugno, che il comunista Partito rivoluzionario del popolo afferma di avere vinto con 47 seggi su 76 mentre il Partito democratico parla di brogli. Purevdorjin Naranbat, portavoce del Comitato elettorale generale, dice che “le elezioni si sono svolte in modo efficiente e legale”. Pure un gruppo di 16 osservatori internazionali esclude irregolarità.
Stretta tra Cina e Russia, la Mongolia è un Paese povero ma ricco di metalli pregiati e uranio. Analisti attribuiscono le violente proteste anche al diffuso malcontento per le crescenti difficoltà economiche, nonostante i ricchi giacimenti, con l’inflazione al 15,1% e recenti proteste di piazza per gli aumenti dei prezzi. Da anni queste ricchezze non sono ben sfruttate, per la pretesa dei politici che chi vince debba decidere il futuro del Paese senza un confronto con gli altri partiti e senza tenere presenti le reali esigenze della popolazione.