Boom del turismo in Sri Lanka, a danno di pescatori e contadini
Colombo (AsiaNews) – Espropri terrieri e divieti alla pesca: è con queste violazioni ai diritti della popolazione costiera che lo Sri Lanka è diventato una meta turistica in forte espansione a livello mondiale. Con le sue spiagge bianche, una vegetazione ricca e una secolare storia culturale multi-etnica, l’isola è stata inserita tra le “migliori destinazioni” del 2013 dalla Lonely Planet. Nel 2014 più di 1,5 milioni di stranieri hanno scelto l’isola per le proprie vacanze nell’Oceano indiano. Ma attivisti per i diritti umani vogliono alzare il velo sul “costo umano” che sta avendo lo sviluppo di questo settore.
Il 9 giugno scorso a Colombo il National Fisheries Solidarity Movement (Nafso) ha presentato il rapporto Dark Clouds over the Sunshine Paradise – Tourism and Human Rights in Sri Lanka (“Nubi oscure sul paradiso del sole – Turismo e diritti umani in Sri Lanka”). All’evento erano presenti leader religiosi, rappresentanti della società civile, albergatori e attivisti per i diritti umani e l’ambiente.
“Lo Sri Lanka – si legge nel documento – non è solo una destinazione idilliaca per chi ama prendere il sole. È anche un Paese con molti lati oscuri, che includono una guerra civile durata 26 anni, con crimini ancora senza giustizia, e un allarmante record di violazioni dei diritti umani. L’oppressione delle minoranze religiose ed etniche ha prevalso anche dopo la fine del conflitto”.
Nonostante questa situazione, sottolinea Nafso nel suo rapporto, “in Europa il governo promuove il Paese come una meta pacificata e prosperosa, ormai tornata alla normalità”. Con 102.922 visitatori, nel 2014 la Germania è stato il secondo gruppo turistico del Paese; la Svizzera il quinto, con 20.097 viaggiatori. Le agenzie turistiche dei due Paesi europei hanno speciali convenzioni con lo Sri Lanka.
I ricercatori riconoscono che il turismo è fondamentale per l’economia dell’isola, dato che rappresenta la fonte principale di valuta estera e fornisce migliaia di opportunità di lavoro alle comunità locali.
Tuttavia, per sviluppare il settore, il governo si è “appoggiato” a massicci espropri terrieri, compiuti dalla marina militare sulle popolazioni che vivono sulla costa. Che, in cambio, non hanno ricevuto alcuna ricompensa. In altri casi, la marina militare ha mantenuto il divieto di pesca in prossimità di alcune sue basi anche dopo la fine della guerra, causando danni ingenti alle comunità di pescatori.
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