Bhutan, dissidente in esilio: processo di democratizzazione, operazione “di facciata”
Libertà religiosa, indipendenza della magistratura, libertà di stampa e rispetto per i diritti umani sono questioni irrisolte. Il piccolo Stato himalayano, retto da una monarchia, è teatro di persecuzioni a sfondo confessionale e repressione della dissidenza interna.
Delhi (AsiaNews) – Il processo di democratizzazione del Bhutan è un’operazione “di facciata”, che "esiste solo sulla carta”, ma non ha riscontri concreti per la popolazione. È la pesante accusa lanciata da Karma Duptho, segretario del Druk National Congress, movimento politico bhutanese in esilio. Dai rifugiati in Nepal alla libertà di stampa, dall’indipendenza della magistratura al rispetto dei diritti umani, alla libertà religiosa, sono ancora molte le questioni irrisolte per il piccolo Stato a regime monarchico, situato nella catena himalayana e schiacciato dai giganti Cina e India.
In tema di libertà religiosa, il segretario di Druk National Congress spiega che era “assente fino alla promulgazione della Costituzione” nel 2008, ma anche adesso “non si può essere certi che venga applicata”. Vi sarebbero infatti testimonianze secondo cui “la cultura e la religione buddista sono imposte alla gente comune” e i fedeli di altre religioni “sono a rischio di attacchi, arresti e altre forme di persecuzione” tra cui “detenzioni arbitrarie e arresti”.
I buddismo è la religione di Stato, ma alcune sette o movimenti minori vengono repressi nel sangue, come è avvenuto nel 1997 con i buddisti Nyingmapa, che ha causato morti e arresti. Dall’anno scorso, con l’introduzione della legge fondamentale dello Stato, “gli arresti arbitrari sono illegali”, ma rimane “vietato il proselitismo” e non è chiaro se permanga il “divieto di costruzione per le chiese”.
“L’indipendenza del sistema giudiziario – continua – è un principio fondamentale della democrazia. E non esiste in Bhutan”. La conferma arriva dagli “oltre 200 prigionieri politici” rinchiusi nelle carceri del Paese, molti dei quali colpevoli di aver partecipato “alle manifestazioni pacifiche degli anni ’90 a favore della democrazia e dei diritti umani”. I prigionieri politici hanno trascorso “più di 17 anni in cella” e a questi si aggiungono “altre centinaia arrestati nel 2007”, persone impegnate in “attività politiche contrarie al credo e all’ideologia” sbandierate dal regime di Thimphu. “La maggior parte di loro – afferma Karma Duptho – sono stati accusati di rivolta e tradimento, con condanne variabili dai 15 anni di prigione all’ergastolo”. Il sistema giudiziario – strumento della democrazia – è tuttora “sotto controllo del Re” Jigme Khesar Namgyel Wangchuck, quinto monarca del Bhutan, salito al potere nel dicembre 2006 – il più giovane capo di Stato del pianeta – a soli 26 anni.
Altro capitolo spinoso riguarda la libertà di stampa, per la quale Karma Duptho ammette che vi sono “restrizioni”; i media devono seguire le direttive che arrivano dal governo. “Di quattro giornali e quattro stazioni radio – commenta – solo il Kuensel, il giornale di Stato, ha parlato del problemi dei rifugiati”. Molti di loro, come riferito da AsiaNews nei giorni scorsi, hanno trovato accoglienza nei Paesi occidentali, ma il problema “resta sempre attuale”.(NC)
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