Benedetto XVI in visita a un Medio Oriente in ebollizione
Beirut (AsiaNews) - Fra qualche giorno Benedetto XVI sarà in Libano (14-16 settembre). Nella situazione attuale il papa viene nel Paese dei cedri come uomo di pace, ma anche come uomo di giustizia, perché non c'è pace senza giustizia, soprattutto nei rapporti fra nazioni. Questo elemento, come ha messo in luce in modo geniale Giovanni Paolo II, che le tensioni che attraversano il mondo sono di natura etica e la situazione di oggi lo rende ancora più evidente.
Ma Benedetto XVI sarà un uomo di pace con le « armi » di cui la Chiesa dispone. E la Chiesa non è né uno Stato, né un'organizzazione internazionale. Egli sarà qui con un giudizio costruito su ciò che la Chiesa conosce dell'uomo, insieme al suo servizio come autorità spirituale che discende da Gesù Cristo e con un certo credito che egli ha nella comunità internazionale.
Prima indispensabile annotazione: il papa arriva in un Medio oriente molto diverso da quello che esisteva nel momento in cui è stata preparata e poi svolta l'Assemblea speciale del sinodo sulle Chiese del Medio Oriente (ottobre 2010). In due anni, il Medio oriente è stato messo sottosopra da sollevazioni popolari che hanno modificato in modo completo i rapporti politici, il paesaggio geopolitico e, nei Paesi arabi, la presenza cristiana (vedi Egitto e Siria, in particolare). In questi due anni si sono acutizzate le crisi prodotte dal nucleare iraniano e si è affermata la Turchia come "democrazia islamica". In più, l'antagonismo fra Stati Uniti e Russia si è indurito. Dal Caspio all'Egitto, la regione è tutta in ebollizione e sappiamo come i cristiani d'Oriente sono sensibili alle tensioni politiche a cui spesso si aggiungono le tensioni economiche. La Chiesa è dunque di fronte a una situazione evolutiva molto diversa da quella che l'ha preceduta e ciò rende il suo compito ancora più difficile.
Del resto, al cuore della regione vi è un nodo che si chiama Israele. E la Chiesa sa che è soprattutto questa crisi da regolamentare perché vi sia tranquillità durevole nella regione e per il bene delle sue comunità cristiane.
Il Libano, l'eccezione
È questo il contesto in cui il papa - o piuttosto la Santa Sede, perché il papa viaggia con il suo seguito - si rivolgerà alle Chiese cattoliche del Medio oriente. E lo fa a partire dal Libano perché egli sa che il Libano, sul piano civile, è un'eccezione nella regione, essendo il solo Paese arabo dove regna una comunanza culturale e un'assoluta uguaglianza civica fra cristiani e musulmani; un'uguaglianza inquadrata e regolamentata da una ripartizione delle alte cariche dello Stato fra cristiani e musulmani, che ha dato luogo a un sistema politico originale.
Il Libano è un'eccezione anche sul piano religioso. Un'esperta del Sinodo, Annie Laurent, ha scritto che il Paese dei Cedri è "un concentrato di fedeli di tutti i riti cristiani del Vicino oriente. Vi sono i cattolici (maroniti, melkiti, armeni, caldei, siri, copti, latini); quelli che non sono in piena comunione con Roma (greco-ortodossi, armeni apostolici, assiri, siro-ortodossi, copti-ortodossi e protestanti di diverse denominazioni). È dunque un luogo particolarmente propizio al dialogo ecumenico".
Anzitutto rassicurare e poi correggere
Cosa dirà il papa? Senz'altro nulla che non sia stato già detto. Ma lo dirà con parole nuove e con un soffio nuovo. Soprattutto, ciò che dirà sarà segnato dal particolare carisma della chiarezza dottrinale di Benedetto XVI. Fra i grandi temi vi sono certo i problemi della minorità cristiana e delle relazioni con l'islam, il problema della libertà religiosa, di coscienza e di culto, insieme a quelli del dialogo.
Vi sono poi i problemi interni alla Chiesa: ripiegamento delle comunità sui propri interessi; contaminazione secolarizzata della massa dei cristiani; scristianizzazione delle élite; casi di corruzione nel clero; il fossato fra giovani e gerarchia; la tentazione dell'emigrazione; l'urgenza di una nuova evangelizzazione...
Possiamo immaginare che Benedetto XVI cercherà anzitutto di rassicurare. I media, sensibili alla dimensione politica del viaggio papale, hanno già messo questa visita sotto il segno della grande paura per i cristiani d'Oriente; paura che questa massa si riduca ancora di più, dopo la sanguinosa carneficina irakena; paura dei regimi islamisti che stanno sorgendo; paura di una guerra fredda che può degenerare in un nuovo Olocausto; paura dello jihadismo; paura che i Luoghi santi di Gerusalemme siano perduti.
Per quanto giustificate esse siano, la Chiesa ha il dovere di dissipare tutte queste apprensioni. La paura è gregaria: Essa induce a condotte che vanno a produrre proprio ciò che si cerca di evitare.
E soprattutto la questione non è là. Si si può fare qualcosa per dissipare questa paura, siamo sicuri che la Chiesa lo sta già facendo o lo farà. Ma la Santa Sede attua questo genere di azione diplomatica o di contatti internazionali nella più grande discrezione. Possiamo pensare che la Santa Sede - mediante l'attesa Esortazione apostolica o con altri canali - chiederà al governo israeliano e a quelli del mondo arabo il rispetto delle minoranze e della libertà religiosa, dei Luoghi santi. Egli si rivolgerà alle autorità religiose musulmane dei vari Paesi arabi o non, in modo diretto o mediante il dialogo interreligioso. Ma tutto ciò verrà fatto attraverso l'intesa, senza altra forza che la parola data.
La sfida della fedeltà a Cristo
D'altro canto, la sfida che il papa lancerà alle Chiese orientali e a quelle apostoliche del Medio oriente è quella della fedeltà a Cristo e alla Chiesa da Lui fondata, quella della comunione e della testimonianza.
Sulla scia dell'Esortazione apostolica "Una speranza per il Libano" di Giovanni Paolo II - che era indirizzata ai libanesi, ma anche in modo indiretto a tutti i cattolici d'Oriente - l'Esortazione attuale, "Comunione e testimonianza", proporrà linee direttrici per affrontare i problemi generati dalla situazione economica e sociale di ogni Paese: crisi delle strutture familiari, ritardo nei matrimoni, disoccupazione, emigrazione, vendite di terre con relativa "islamizzazione della terra", imputata a potenze occulte musulmane; rapporto coi media, con i non cristiani; impegno politico; presenza cristiana nelle funzioni pubbliche e sindacali, ecc.. Tutti questi temi toccano la fede cristiana, la presenza cristiana, la coerenza della vita cristiana in Oriente e perciò interessano la Chiesa cattolica.
Oltre a queste importanti questioni, la preoccupazione prima della Santa Sede dovrebbe essere la nuova evangelizzazione e l'unità. Nuova evangelizzazione significa una nuova proclamazione di Gesù Cristo a una massa di fedeli "sacramentalizzati", ma non evangelizzati.
L'unità va declinata in tre modi. Anzitutto all'interno della Chiesa; e qui tutte le domande sono possibili: perché vi sono cinque università cattoliche, di cui quattro nella Chiesa maronita? Non è questa una dispersione di risorse ed energie? Non vi è forse una sorta di rivalità improduttiva?
Vi è poi l'unità e la cooperazione fra le Chiese cattoliche di differenti riti, per sostenere la testimonianza e l'efficacia.
E vi è infine l'unità - nella diversità dei riti - fra le Chiese cattoliche e ortodosse, avendo come punto focale la questione dell'unica data comune per la celebrazione della Pasqua.
Chiaramente, questi temi saranno solo abbozzati. L'Esortazione che si attende è uno strumento di lavoro nelle mani delle Chiese orientali, una bussola supplementare - ma non superflua - destinata a farle uscire dalla giungla politica, economica e morale in cui esse avanzano un po' disorientate.
Infine, tutto dipenderà dalla risposta che le Chiese cattoliche del Medio oriente saranno pronte a dare agli orientamenti di Benedetto XVI. Un vecchio leader religioso, citando le memorie di Henry Kissinger, racconta che il machiavellico segretario di Stato Usa, venuto nella regione, non ha capito nulla dei libanesi perché essi parlavano tutti insieme nello stesso tempo. E, aggiunge il leader religioso, non ha capito nulla dei siriani perché essi stavano in silenzio tutti nello stesso momento, senza poter capire se essi tacevano perché non sapevano nulla o perché sapevano troppo
L'Esortazione apostolica risponderà solo alle questioni che con franchezza sono emerse nel Sinodo del 2010. Il non detto o
ciò che ieri è stato detto in modo vago (obliquo),continueranno rimanere anche oggi non detto o vago.
La Chiesa e la primavera araba
Benedetto XVI parlerà della primavera araba? Non è sicuro. Ma nonostante una necessaria prudenza, la Chiesa cattolica non può non tener conto di ciò che i popoli della regione considerano davvero una "primavera" nella loro vita nazionale. Qualunque siano i risultati che si attendono da questo processo storico in atto, le derive che la minacciano, le caricature con cui la dipingono i suoi nemici, questa primavera ha generato reali e legittime aspirazioni popolari alla democrazia, all'emancipazione umana, alla dignità, al rispetto della persona.
E in ogni caso queste aspirazioni vanno nel "senso della storia". Esse sono confortate dai dati demografici indiscutibili, messi in evidenza da Emmanuel Todd, antropologo, e da Youssef Courbage, demografo. In uno studio precedente ale trasformazioni attuali, i due ricercatori mettono in evidenza alcuni elementi che avrebbero portato a dei cambiamenti politici : l'abbassamento del tasso di natalità ; l'alto tasso di analfabetismo soprattutto fra le donne ; la riduzione dell'endogamia, cioè del matrimonio fra cugini nei Paesi arabi.
Ciò mostra - dicono i due ricercatori - che i modi di vivere occidentali e quelli arabo-musulmani tendono a convergere, non a divergere. È importante per la Chiesa sapere che nel mondo arabo-al di là di regressioni e transizioni di varia durata nei diversi Paesi - si assiste a un'ondata che genera un movimento di secolarizzazione dell'islam.
Camminando sull'acqua
Infine una nota. Purtroppo, molti media hanno messo sotto il segno della paura questo viaggio tanto atteso di Benedetto XVI. Per convincersi, basta guardare come, dal luglio scorso, ogni scossa interna in Libano faceva levare le voci che annunciavano un possibile rinvio della visita. Ma il cristianesimo non è paura. Quando nel 1993 Giovanni Paolo II pensò al suo viaggio in Nicaragua, si discusse di far portare a tutti i membri della delegazione pontifica dei giubbotti antiproiettile. Il papa si rifiutò e spiegò al direttore della sua missione che lui, nel 1981, era stato colpito in uno degli ambienti considerati fra i più sicuri per un papa: piazza san Pietro. Il ragionamento di Giovanni Paolo II vale ancora oggi. Non è barricandosi negli appartamenti pontifici che Benedetto XVI può guidare la barca di Pietro, ma affrontando le tempeste e, al momento, anche camminando sull'acqua.