Beirut è tranquilla (per ora) dopo i mandati di arresto per Hezbollah
di Fady Noun
Il Libano ha 30 giorni di tempo per arrestare i sospetti assassini di Rafic Hariri. Nella capitale domina l’attesa e la circospezione per vedere la tenuta del governo, dominato da Hezbollah. Ma molti pensano che dietro Hezbollah vi siano la Siria e magari Washington.
Beirut (AsiaNews) – Lo si aspettava da anni. L’atto di accusa del Tribunale internazionale sul Libano (Tsl), nell’assassinio del Primo ministro sunnita Rafic Hariri (14 febbraio 2005), alla fine è arrivato, seppure ancora sotto sigillo.
Sulla sua base, sono stati emessi quattro mandati di arresto contro alcuni quadri dell’Hezbollah sciita. Curiosamente, l’opinione libanese ha accolto la notizia con tranquillità. Né l’ambiente sunnita, né quello sciita si è scomposto, sebbene la notizia avrebbe potuto provocare delle tensioni confessionali.
Questo apparente distacco ha una ragione essenziale: l’atto di accusa non fa che confermare quanto circola nel Paese fin dal 2009, subito pubblicato da Der Spiegel. L’effetto sorpresa è stato rimosso da molto tempo.
Del resto, tali indiscrezioni, riprese con varianti e aggiunte da organi di stampa straniera e araba, hanno minato la credibilità dell’accusa. Già un anno fa, gli Hezbollah hanno preso pretesto da ciò per lanciare una formidabile campagna stampa che accusava il Tsl di essere politicizzato. Secondo il partito, il tribunale non era che uno strumento nelle mani degli americani che cercavano di danneggiare Hezbollah.
D’altra parte, non vi sono condizioni obbiettive per un conflitto confessionale. Tutti conoscono la superiorità militare di Hezbollah, come dimostrato da vari incidenti di percorso. Qualunque tensione civile nei quartieri a maggioranza islamica non potrebbe diffondersi: esso sarebbe subito fermato dal partito o dall’esercito regolare.
La notizia dell’implicazione di Hezbollah nell’assassinio di Rafic Hariri è stata accolta con totale indifferenza dallo stesso Hezbollah, che si dice “non interessato” al tribunale internazionale. L’ex premier Saad Hariri ha dichiarato che si tratta di un “momento storico. In questo momento egli si trova in Francia, a causa dei rischi reali di attentato contro cui è stato messo in guardia da speciali servizi segreti stranieri.
Negli ambienti vicini alla Chiesa maronita, si è accolta la notizia con circospezione. Certo, la gerarchia religiosa crede alla giustizia internazionale e vuole la verità. Ma con gli anni essa ha potuto constatare che tutto ciò che si fa in nome della “comunità internazionale” non è esente da parzialità, e che gli Stati Uniti servono spesso i loro interessi prima di quelli del Libano o della giustizia. In diversi ambienti si ripete che il Libano è preso “nel gioco delle nazioni” e si dubita che su questo affare si scoprirà mai la piena verità.
La maggior parte dei libanesi condivide questi dubbi: essi sono convinti che Hezbollah ha potuto essere lo strumento dell’assassinio, ma guardano a Damasco e anche – per alcuni - verso Washington per identificare i mandanti.
Cosa ci si attende ora? Sul piano giudiziario, le regole di procedura del Tsl precisano che il Libano ha ora 30 giorni per arrestare i quattro sospettati e trasferirli all’Aia, sede del Tsl. Passato questo tempo, l’atto di accusa potrebbe essere reso pubblico e i sospettati giudicati in contumacia.
Ciò che si può dire è che il periodo di 30 giorni permetterà di valutare il grado di collaborazione col Tsl da parte del nuovo governo libanese, formato da Nagib Mikati, ma dominato politicamente da Hezbollah.
Il partito sciita ha già detto che non permetterà l’arresto dei suoi quadri. E dunque quale scelta rimane all’ala centrista del nuovo governo? Cercherà di salvare le apparenze? E come? E che farà il 14 Marzo [la coalizione guidata da Saad Hariri – ndr], oggi all’opposizione? La risposta a queste questioni fondamentali è attesa nelle prossime 3-4 settimane.
In questo periodo si dovrebbe venire a sapere se per questo caso il Tsl ha emesso dei mandati d’arresto anche verso non libanesi. In effetti, il Tsl ha comunicato al Libano solo un elemento della sua inchiesta. Gli altri sono trasmessi solo alle parti interessate e fra queste, si pensa, vi sia proprio la Siria.
Sulla sua base, sono stati emessi quattro mandati di arresto contro alcuni quadri dell’Hezbollah sciita. Curiosamente, l’opinione libanese ha accolto la notizia con tranquillità. Né l’ambiente sunnita, né quello sciita si è scomposto, sebbene la notizia avrebbe potuto provocare delle tensioni confessionali.
Questo apparente distacco ha una ragione essenziale: l’atto di accusa non fa che confermare quanto circola nel Paese fin dal 2009, subito pubblicato da Der Spiegel. L’effetto sorpresa è stato rimosso da molto tempo.
Del resto, tali indiscrezioni, riprese con varianti e aggiunte da organi di stampa straniera e araba, hanno minato la credibilità dell’accusa. Già un anno fa, gli Hezbollah hanno preso pretesto da ciò per lanciare una formidabile campagna stampa che accusava il Tsl di essere politicizzato. Secondo il partito, il tribunale non era che uno strumento nelle mani degli americani che cercavano di danneggiare Hezbollah.
D’altra parte, non vi sono condizioni obbiettive per un conflitto confessionale. Tutti conoscono la superiorità militare di Hezbollah, come dimostrato da vari incidenti di percorso. Qualunque tensione civile nei quartieri a maggioranza islamica non potrebbe diffondersi: esso sarebbe subito fermato dal partito o dall’esercito regolare.
La notizia dell’implicazione di Hezbollah nell’assassinio di Rafic Hariri è stata accolta con totale indifferenza dallo stesso Hezbollah, che si dice “non interessato” al tribunale internazionale. L’ex premier Saad Hariri ha dichiarato che si tratta di un “momento storico. In questo momento egli si trova in Francia, a causa dei rischi reali di attentato contro cui è stato messo in guardia da speciali servizi segreti stranieri.
Negli ambienti vicini alla Chiesa maronita, si è accolta la notizia con circospezione. Certo, la gerarchia religiosa crede alla giustizia internazionale e vuole la verità. Ma con gli anni essa ha potuto constatare che tutto ciò che si fa in nome della “comunità internazionale” non è esente da parzialità, e che gli Stati Uniti servono spesso i loro interessi prima di quelli del Libano o della giustizia. In diversi ambienti si ripete che il Libano è preso “nel gioco delle nazioni” e si dubita che su questo affare si scoprirà mai la piena verità.
La maggior parte dei libanesi condivide questi dubbi: essi sono convinti che Hezbollah ha potuto essere lo strumento dell’assassinio, ma guardano a Damasco e anche – per alcuni - verso Washington per identificare i mandanti.
Cosa ci si attende ora? Sul piano giudiziario, le regole di procedura del Tsl precisano che il Libano ha ora 30 giorni per arrestare i quattro sospettati e trasferirli all’Aia, sede del Tsl. Passato questo tempo, l’atto di accusa potrebbe essere reso pubblico e i sospettati giudicati in contumacia.
Ciò che si può dire è che il periodo di 30 giorni permetterà di valutare il grado di collaborazione col Tsl da parte del nuovo governo libanese, formato da Nagib Mikati, ma dominato politicamente da Hezbollah.
Il partito sciita ha già detto che non permetterà l’arresto dei suoi quadri. E dunque quale scelta rimane all’ala centrista del nuovo governo? Cercherà di salvare le apparenze? E come? E che farà il 14 Marzo [la coalizione guidata da Saad Hariri – ndr], oggi all’opposizione? La risposta a queste questioni fondamentali è attesa nelle prossime 3-4 settimane.
In questo periodo si dovrebbe venire a sapere se per questo caso il Tsl ha emesso dei mandati d’arresto anche verso non libanesi. In effetti, il Tsl ha comunicato al Libano solo un elemento della sua inchiesta. Gli altri sono trasmessi solo alle parti interessate e fra queste, si pensa, vi sia proprio la Siria.
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19/08/2020 08:46
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