Basilan, la cultura delle armi investe anche i giovani cattolici
Manila (AsiaNews) – Gli scontri dell’ultimo mese fra l’esercito governativo e le truppe ribelli del Fronte islamico Moro (Milf) hanno spinto moltissimi giovani cattolici di Basilan, un'isola a sud di Mindanao, a impugnare le armi per difendersi. A lanciare l’allarme è il vescovo della prelatura di Isabela, mons. Martin Jumoad, che segue “con apprensione” l’evolversi della situazione perché è il segnale di un “ritorno della cultura delle armi a Basilan”.
“Giovani dai 15 anni si stanno armando. Un dolore doppio, perché oltre a essere ancora dei ragazzi sono anche cattolici” denuncia il vescovo, il quale riferisce informazioni ricevute da p. Pepe Ligason, parroco di Maluso. Se i ragazzi scelgono la resistenza armata, gli abitanti dei villaggi di Canas, Fallih, Mahayahay e Cabcaban – appartenenti alla parrocchia di Maluso – hanno iniziato le operazioni di evacuazione. “I residenti – continua mons. Jumoad – stanno abbandonando le loro case verso zone più sicure, a causa di un senso sempre più diffuso di sfiducia nei confronti delle autorità. Le forze dell’ordine non sono più in grado di garantire l’incolumità delle persone”.
Mons. Jumoad ha avviato i contatti con la polizia per affrontare l’emergenza e chiede l’aiuto delle organizzazioni religiose per promuovere un dialogo con i reparti speciali dell’esercito. Dal 28 novembre scorso gli scontri fra Marines filippini e ribelli del Milf hanno causato la morte di 11 persone, di cui tre civili. All’origine della nuova ondata di violenze l’offensiva lanciata dai militari contro i terroristi di Abu Sayyaf, principali indiziati per il rapimento di Merlie Mendoza ed Esperancita Hupida, due volontarie di una Ong sequestrate il 15 settembre scorso da un gruppo armato nell’isola di Basilan.
Mannar Saliddin, capo della Watch Human Rights, chiede ai militari di mettere fine alla sanguinosa guerra perché “colpisce soprattutto la popolazione civile”. Il vescovo di Basilan, pur augurandosi la pace nella provincia, precisa però che una interruzione delle operazioni militari “permetterebbe ai terroristi di riorganizzarsi e continuare le attività criminali”.