Barack Obama, nessuna crisi con Israele. Ma il fronte arabo si allontana
Il presidente Usa conferma il “legame speciale” con Tel Aviv. Netanyahu esprime “apprezzamento” per la Casa Bianca e nega le accuse di “anti-semitismo” rivolte a Obama dal cognato. Le tensioni a Gerusalemme rischiano di far vacillare l’intesa fra Washington e il mondo arabo, fondamentale per contenere la minaccia nucleare iraniana.
Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) – Il presidente Usa Barack Obama nega la “crisi nelle relazioni” fra Stati Uniti e Israele – divampata dopo l’annuncio di Tel Aviv, che intende costruire 1600 nuovi insediamenti nei territori occupati –, ma la “guerra verbale” fra i due fronti continua. L’inquilino della Casa Bianca ha dichiarato che “qualche volta agli amici capita di dissentire”, ma resta “il legame speciale con Israele, che non è destinato a scomparire”.
I due fronti cercano di ricucire i rapporti dopo una serie di dichiarazioni al vetriolo, che hanno determinato il “peggior momento” nelle relazioni fra i due alleati storici. Washington cerca anche di ridare un nuovo impulso al piano di pace in Medio oriente. Tuttavia, la linea dura di Tel Aviv sugli insediamenti, gli scontri dei giorni scorsi fra palestinesi e polizia israeliana, i timori di una “terza intifada” e le titubanze degli Usa, hanno aperto un nuovo fronte di crisi con i Paesi arabi, fondamentali per creare un schieramento comune nell’area contro la minaccia nucleare iraniana.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha preso le distanze dall’attacco durissimo del cognato nei confronti di Obama. Hagai Ben-Artzi ha accusato il presidente Usa di “anti-semitismo”. Una affermazione respinta “con fermezza” dal Primo Ministro, il quale ha ribadito il “profondo apprezzamento” per l’impegno di Obama in merito alla sicurezza di Israele.
Ieri il presidente Usa, intervistato da Fox News Channel, ha spiegato che la creazione di 1600 nuovi insediamenti di Tel Aviv nei territori occupati “non è di aiuto” per la costruzione di un accordo di pace fra Israele e Palestina. L’annuncio è stato dato durante la vista del vice-presidente Usa Joe Bien la scorsa settimana e ha causato una crisi diplomatica, poi rientrata, fra Washington e lo storico alleato. “Fra noi esiste un legame speciale – ha aggiunto Obama – che non scompare”. L'amministrazione Usa e lo stesso Obama sembrano però ritirarsi dalle affermazioni programmatiche fatte all'inizio del mandato presidenziale, in cui Obama aveva richiesto la fine degli insediamenti ebraici nei territori occupati.
L’Autorità palestinese conferma la propria contrarietà a colloqui diretti di pace, a causa del piano di espansione promosso da Israele. Dall’occupazione dei territori all’indomani della guerra dei Sei giorni del 1967, almeno 500mila coloni ebrei vivono in 100 insediamenti considerati “illegali” dal diritto internazionale.
Obama ha infine lanciato un appello comune a israeliani e palestinesi perché “compiano i passi necessari per ricostruire un clima di fiducia”. Il timore è che le attuali tensioni possano aggravare il clima di anti-americanismo in Medio oriente. Un rischio confermato dal generale David Petraeus, comandante delle Forze armate Usa, durante un’audizione al Senato. “La rabbia degli arabi – sottolinea – in merito alla questione palestinese, limita la forza e la solidità dei rapporti fra Stati Uniti e i governi e i popoli della regione”.
Paul Salem, esperto di politica mediorientale e direttore di Carnegie Middle East Center, con base a Beirut, spiega che i Paesi arabi saranno meno stimolati a sostenere gli Usa su diversi fronti, compreso il nucleare iraniano, se “non ottengono nulla in cambio”.
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