Bangladesh, la polizia chiede di cancellare il "divieto alla tortura"
Dhaka (AsiaNews/Agenzie) - La polizia del Bangladesh ha chiesto al ministero degli Interni di cancellare alcune sezioni della legge che vieta a tutte le forze dell'ordine di torturare e trattare in modo disumano chi si trova in stato di custodia cautelare o in prigione. In particolare, il corpo di polizia vuole la rimozione della sez. 12, secondo la quale la tortura è un crimine anche in situazioni di guerra, minacce di guerra, instabilità politica, stato di emergenza o ordini delle autorità governative. Immediate le reazioni di attivisti per i diritti umani, che giudicano gli emendamenti proposti "in diretto contrasto con la Costituzione".
La richiesta arriva dopo diverse accuse di arresti indiscriminati, morti "sospette" e torture in custodia giudiziaria, avvenuti nel corso delle violenze politiche che vanno ormai avanti da oltre due mesi. Le vittime sarebbero soprattutto militanti e sostenitori del Bangladesh Nationalist Party (Bnp, partito nazionalista) e del Jamaat-e-Islami (partito fondamentalista islamico), responsabili di aver "causato" alle tensioni dando inizio a un blocco totale e indeterminato del traffico.
La polizia ha proposto anche l'esclusione del Rapid Action Battalion (Rab), del Criminal Investigation Department (Cid), e delle unità speciali e investigative della polizia stessa dall'ambito della legge, cambiando la definizione delle agenzie delle forze dell'ordine. Secondo la definizione prevista dalla legge, le suddette unità - insieme anche al dipartimento immigrazione e alla guardia costiera - rientrano nella categoria.
Tuttavia, sostiene la polizia, la legge anti-tortura ha creato la "possibilità" di presentare denunce false contro tutte le agenzie, rendendo "impossibile per quest'ultime salvare la vita e le proprietà delle persone da attività distruttive come l'instabilità politica, gli hartal e gli atti incendiari".
L'art. 35 della Costituzione del Bangladesh stabilisce che "nessuna persona potrà essere soggetta a tortura o trattamento crudele, disumano o degradante". Nel 1998 il governo ha siglato la Convenzione Onu contro la tortura (1984), ma solo nel 2013 il Parlamento ha passato il Torture and Custodial Death (Prevention) Act, rendendo la tortura nelle mani delle forze dell'ordine o dei funzionari di governo un reato penale. Nel caso di morte in stato di detenzione, la pena massima prevista è l'ergastolo o una multa di 100mila taka (circa 1.200 euro). Inoltre, il colpevole deve risarcire i familiari della vittima con 200mila taka (circa 2.400 euro).
Secondo un rapporto pubblicato da Amnesty International, tra gennaio e luglio 2014 almeno nove persone sono morte in custodia di polizia, probabilmente a causa di torture. I metodi utilizzati includono percorre, sospensione dal soffitto, scariche elettriche ai genitali e, in alcuni casi, spari alle gambe.