Bangkok: l’esercito lancia l’ultimatum, le “camicie rosse” si appellano all’Onu
I militari avvertono: per disperdere la folla “provvedimenti risolutivi” e “sarà il caos”. I manifestanti antigovernativi hanno eretto barricate a difesa della zona occupata, nel cuore commerciale della capitale. Essi chiedono anche l’invio di una forza di pace delle Nazioni Unite. Il Paese in bilico fra un accordo politico e la guerra civile.
Bangkok (AsiaNews/Agenzie) – L’esercito thai ha ordinato ai manifestanti antigovernativi di abbandonare il presidio eretto a Ratchaprasong, area commerciale nel centro di Bangkok. In caso contrario, avvertono i militari, si procederà allo sgombero con la forza. Le “camicie rosse” – che hanno barricato la zona - rimangono ferme sulle loro posizioni: scioglimento immediato del Parlamento e nuove elezioni. I leader della protesta hanno inoltre consegnato una lettera all’ufficio delle Nazioni Unite della capitale, in cui chiedono l’invio di una forza di pace Onu.
Questa mattina i militari hanno lanciato un monito ai leader delle “camicie rosse” – vicine all’ex premier in esilio Thaksin Shinawatra e sostenuti dal partito di opposizione United Front for Democracy against Dictatorship (UDD) – avvertendo che “non resta molto tempo” prima di un’operazione di forza. Il colonnello Sunsern Kaewkumnerd, portavoce dell’esercito, sottolinea che “al fine di disperdere la folla” le autorità prenderanno “provvedimenti risolutivi” e “sarà il caos”.
Sempre in mattinata, i leader della protesta hanno raggiunto la rappresentanza delle Nazioni Unite in Thailandia e hanno consegnato una missiva diretta al segretario generale Ban Ki-moon. I manifestanti chiedono l’invio di una forza di pace Onu che sorvegli la zona occupata, nel cuore commerciale della capitale. I dimostranti hanno eretto muri con pneumatici e palizzate di bambù per proteggersi in caso di attacco dell’esercito. Tuttavia, si fa sempre più concreto il pericolo di un nuovo bagno di sangue, dopo le violenze fra oppositori e polizia del 10 aprile scorso che hanno causato 25 morti e oltre 800 feriti.
Ieri il premier thai Abhisit Vejjajiva ha dichiarato che i dimostranti possiedono “armi da guerra”; accuse rispedite al mittente dai leader della rivolta, che ribadiscono la richiesta di scioglimento immediato del Parlamento ed elezioni anticipate.
Il Primo Ministro ha inoltre incolpato quelli che definisce “terroristi” delle violenze occorse nelle ultime settimane e aggiunge: il movimento “vuole cambiare il sistema politico della nazione”. Uno dei leader delle “camicie rosse” risponde al gravissimo atto d’accusa – per il reato di lesa maestà è prevista la pena di morte – sottolineando che è “un pretesto” usato dal governo per reprimere con la forza le proteste.
La crisi politica sembra non trovare sbocchi e all’orizzonte si profilano nuove violenze di piazza. Tuttavia, alcuni esperti di politica thai avvertono che potrebbe essere “il momento giusto” per il raggiungimento di un accordo. In caso contrario, le spaccature sul fronte politico e le divisioni interne all’esercito potrebbero portare la Thailandia sull’orlo di una guerra civile.
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