Bangkok, cade l’accusa di “cospirazione” per i leader della rivolta
Bangkok (AsiaNews) – La Corte di appello thailandese ha rigettato le accuse di “insurrezione” e “cospirazione” – per le quali è prevista anche la pena di morte o l’ergastolo – chieste ieri contro i leader della protesta anti-governativa. Mercoledì 7 ottobre Bangkok è stata teatro di una “guerra civile” fra polizia e manifestanti, che ha causato la morte di due persone e il ferimento di oltre 440. Rimangono ancora pendenti, invece, le imputazioni per “assemblea illegale” e “incitazione” alla violenza.
La decisione del tribunale potrebbe convincere i rivoltosi alla resa, come hanno promesso di fare, ma non offre una soluzione di lungo periodo alla crisi politico-sociale che sta scuotendo il Paese da diverse settimane. Il premier Somchai Wongsawat, bersaglio delle critiche degli esponenti dell’Alleanza popolare per la democrazia (Pad), che ne chiede le dimissioni, annuncia “nuove indagini” del governo per fare luce sugli scontri e “consegnare alla giustizia i responsabili”.
I leader del Pad e le forze dell’ordine si scambiano reciproche accuse in merito alle responsabilità delle violenze e della morte di due persone; una delle quali, la studentessa universitaria Angkana Radubpanyavuth, è deceduta durante la corsa all’ospedale per le gravi ferite riportate ai polmoni, allo stomaco e al costato. Secondo il Vichan Beawnim, esperto di medicina legale, i proiettili dei gas lacrimogeni non possono “da soli” aver causato danni di tali proporzioni.
Gli scontri di queste settimane hanno alzato il livello della tensione nel Paese, con episodi continui di insofferenza che contribuiscono ad avvelenare il clima: un pilota di un volo interno ha fatto scendere tre membri del People Power Party – il partito del premier Somchai – perché “la loro presenza” ne disturbava “l’equilibrio psicologico”. I medici di un ospedale della capitale si rifiutano di assistere e curare i poliziotti feriti negli scontri o fanno loro togliere la divisa prima di accoglierli nella struttura. Un chiaro segnale al governo, al quale anche la classe medica chiede di “riconsiderare i passi compiuti sinora”, causa di enormi “sofferenze alle vittime e ai familiari”.
Sunee Chairos, membro della Commissione nazionale per i diritti umani, sottolinea che “la violenza non è la strada giusta per risolvere i problemi” ed è doveroso che alle persone venga lasciata la “libertà di manifestare le proprie idee, partecipando al processo democratico”.
Juree Wijitwatakarn, segretario generale dell’Organizzazione internazionale sulla trasparenza, cita il rapporto 2008 in base al quale la Thailandia occupa “l’80esimo posto al mondo su 180 Paesi per livello di corruzione “ nel settore pubblico, elemento che ha contribuito a far calare la “fiducia nelle istituzioni e il buon nome della nazione”.