Bagno di sangue in Iraq, 55 morti e 225 feriti. Al Qaeda rivendica la strage
Baghdad (AsiaNews/Agenzie) - La cellula irakena di al Qaeda ha rivendicato la serie di attentati mortali che hanno insanguinato la capitale e molte zone del Paese, provocando almeno 55 morti e circa 225 feriti. Lo Stato islamico dell'Iraq, questo il nome dell'organizzazione estremista, afferma di aver colpito le forze di sicurezza e i funzionari governativi, per "vendicare la campagna di eliminazioni e torture" che uomini e donne sunniti "devono subire nel carcere di Baghdad e nelle altre città".
La rivendicazione del movimento qaedista è apparsa su un sito web nella prima serata di ieri, dopo che per tutta la giornata si sono ripetuti attacchi sanguinari in 12 diverse città irakene. Negli ultimi due mesi - dalla partenza dei soldati statunitensi dal Paese, il 31 dicembre scorso, dopo nove anni di presenza militare - al Qaeda e altri movimenti estremisti sunniti hanno intensificato gli attentati contro gli sciiti, alimentando i timori di una nuova - inarrestabile - ondata di violenze interconfessionali.
Il governo, a maggioranza sciita, ha definito gli attacchi un "disperato tentativo" dei fondamentalisti di dimostrare che la nazione non sarà mai stabile. L'ondata di violenze di ieri ha lasciato alle spalle macchine incendiate, aule scolastiche insanguinate, edifici danneggiati e feriti ad affollare gli ospedali; essa dimostra anche la "vulnerabilità" di una nazione segnata da anni di guerre e conflitti interconfessionali, che la partenza dei soldati Usa non è servita a contenere.
Nel tardo pomeriggio di ieri le autorità hanno emesso un coprifuoco nelle città di Tikrit, roccaforte sunnita e città natale dell'ex rais Saddam Hussein, a Hilla e in altre zone del governatorato di Babil, a sud di Baghdad. La scorsa settimana sono morte altre 18 persone in un attacco suicida, che ha colpito l'accademia della polizia nella capitale.
Le violenze contro la maggioranza sciita, in un Paese multietnico composto anche da sunniti, kurdi, turcomanni e cristiani, sono aumentate da quando l'esecutivo guidato dal premier Nouri al-Maliki (sciita) ha preso provvedimenti contro membri di primo piano del blocco Iraqiya, che comprende anche sunniti. All'indomani della partenza dei soldati Usa, infatti, il governo ha emesso un mandato di cattura contro il vice-presidente irakeno Tariq al-Hashemi (sunnita), con l'accusa di finanziare squadre della morte. Hashemi nega con forza ogni addebito e si è rifugiato nel Kurdistan irakeno, nel nord del Paese, sotto la protezione del governo regionale.